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The Darkness al Valmontone Summer Festival

Nella piacevole location di Valmontone, si sono esibiti i The Darkness. Due paroline vanno spese subito sul luogo del concerto, perché non sempre a Roma o in Italia si può usare l’aggettivo “piacevole” per la venue di un concerto: parcheggi a disposizione, giusta dimensione, audio buono e soprattutto, vista l’adiacenza dell’outlet, anche un vasto assortimento di cibo e bevande. Tutto questo ad incorniciare l’esibizione dei “sempreverdi” The Darkness, che in 20 anni non sembrano accusare il passare del tempo, se pensiamo di averli visti live per la prima volta da queste parti proprio il 21 luglio del 2004 al Centralino del Foro Italico.
Da allora la new entry del gruppo più rilevante e ormai piacevolmente consolidata e ben inserita è stato Rufus Taylor alla batteria, figlio di un certo Roger (scherziamo eh! chi non conosce il batterista dei Queen??), ed entrato in pianta stabile nella band dal 2015.
Justin Hawkins dal canto suo è uno di quei frontman da one man show, che può deliziarvi con virtuosismi canori e movenze da rockstar superglam, ma che potrebbe anche intrattenervi con uno spettacolo di cabaret: l’applauso è comunque guadagnato. Unica nota “stonata” se vogliamo, da bravo inglese senza rancore, ci tiene a dispiacersi per le vicissitudini dell’Italia agli Europei, e di come una certa coppa stia per tornare a casa…( che poi sul cammino dell’Inghilterra ci siano le furie rosse della Spagna è un dettaglio!).
A differenza del live di questo inverno all’Orion, che era stato completamente dedicato all’album Permission to Land in occasione del ventennale, stavolta la scaletta è più variegata, fino da arrivare ad una breve cover di Immigrant Song, che il buon Justin non ha difficoltà a intonare.
Ma cosa fa dei Darkness una band che ‘sta bene su tutto’? Secondo noi la loro indiscutibile bravura a non prendersi sul serio da sempre, pur essendo professionisti di spiccato talento, di saper indossare l’eccesso, le paillettes come gli acuti, con frivolezza e consapevole disinvoltura. Insomma ci mettono quel pepe che nella vita sta sempre bene, l’importante, ci ricordano, è non perdere di vista che siamo umani bisognosi di emozioni, e che non c’è posto migliore di un concerto per abbracciarsi e condividere un momento di felice ma appassionata leggerezza.
Ecco che allora si che possiamo ritrovarci tutti ad urlare: I BELIEVE IN A THING CALLED LOVE!
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