Scroll Top
steve-wynn-incanta-il-monk

Steve Wynn incanta il Monk

Testo di Fabio Babini
Foto di Sara Serra

Roma, 9 aprile – Una serata che non è stata soltanto un concerto, ma una vera e propria immersione nell’universo creativo di Steve Wynn, figura storica del rock americano indipendente e fondatore dei leggendari Dream Syndicate. Al Monk di Roma, gremito da un pubblico partecipe e numeroso, il cantautore di Los Angeles ha portato in scena un evento speciale, costruito attorno al suo nuovo album solista ‘Make It Right’, uscito per Fire Records, e al memoir appena pubblicato in italiano con il titolo ‘Non lo direi se non fosse vero’ (Jimenez Edizioni).

Il live, concepito come un flusso ininterrotto tra parole e musica, ha avuto il sapore di una confessione appassionata, quasi teatrale. Steve Wynn non si è limitato a eseguire brani dal nuovo lavoro discografico (di cui, anzi, ha suonato solo la title-track): ha intrecciato racconti personali, episodi surreali e ricordi cruciali con versioni reinventate dei pezzi più acclamati dei Syndicate degli anni ‘80, regalando al pubblico un’esperienza intima e profondamente umana. Accanto a lui due musicisti straordinari: Rodrigo D’Erasmo al violino — presenza magnetica e delicata, già noto per il suo lavoro con gli Afterhours — e Enrico Gabrielli, multistrumentista dalla sensibilità raffinata, già protagonista nei Calibro 35 e nei Winstons. Insieme hanno costruito un impianto sonoro essenziale ma ricco di sfumature, capace di esaltare tanto le parole quanto le note, creando una connessione notevolissima con l’autore statunitense.

Ad aprire la serata, in modo sorprendente e quasi disarmante per sincerità, alcuni brani che Wynn suonava da adolescente, quando iniziava a immaginare una vita tra dischi, tour e sogni rock’n’roll. ‘Sunday Morning’ dei Velvet Underground, un accenno o poco più di ‘Jumpin’ Jack Flash’ degli Stones e ‘Jesus Christ’ dei Big Star sono risuonate nell’atmosfera raccolta della sala — allestita per l’occasione con posti a sedere — come un piccolo atto di devozione verso quegli artisti che hanno plasmato il suo sguardo sul mondo e sulla musica. Canzoni che, pur nella loro brevità, hanno restituito la freschezza degli esordi e il sentimento di una passione mai scalfita dal tempo.

Nel corso del concerto, come già detto, Wynn e sodali hanno alternato il catalogo dei DS e sporadiche intrusioni nella sua carriera solista a episodi narrativi tratti dal memoir, che seguono un filo biografico tanto sincero quanto avventuroso. Tra i racconti più toccanti e gustosi, spicca quello dell’incontro giovanile con Alex Chilton: il leader dei succitati Big Star, inseguito quasi come un fantasma per le strade di Memphis, accolse il giovane Steve per una settimana all’insegna di birre, sigarette e chiacchierate infinite, fino a prosciugarne i pochi dollari in tasca. Un frammento vivido, raccontato con ironia e tenerezza, che ben rappresenta lo spirito del libro.

Altrettanto coinvolgente la rievocazione della nascita di ‘The Days of Wine and Roses’, album seminale dei Dream Syndicate, caposaldo della scena Paisley Underground e di tutta la neopsichedelia dell’epoca, registrato in un’esplosione di entusiasmo e libertà creativa. Di segno opposto, invece, il ricordo — ancora intriso di una certa amarezza — delle lunghe, complesse sessioni che portarono alla realizzazione di ‘Medicine Show’, vissute come una maratona estenuante durata oltre sei mesi, tra pressioni esterne e una continua ricerca di un equilibrio sfuggente.

Sul palco, i brani storici della band californiana hanno preso nuova vita: ‘Tell Me When It’s Over’, ‘That’s What You Always Say’, ‘The Days of Wine and Roses’, eseguite con arrangiamenti inediti, hanno mostrato tutta la loro forza emotiva e narrativa. Merito di Wynn, che ha saputo reinterpretarle con eleganza senza tradirne l’identità, ma anche dei suoi due compagni d’avventura, capaci di modulare ogni intervento con misura e sensibilità. Il violino di D’Erasmo ha ricamato melodie struggenti, mentre Gabrielli ha spaziato tra tastiere, fiati e atmosfere quasi cinematografiche, arricchendo ogni passaggio con intelligenza e gusto.

Il pubblico, come spesso accade quando si parla di Steve Wynn, ha risposto con calore e attenzione, accompagnando con silenziosa partecipazione i momenti più intensi e applaudendo a scena aperta le parentesi più energiche. Nonostante la disposizione seduta, scelta per favorire l’ascolto e la dimensione narrativa del concerto, l’energia nella sala era palpabile, alimentata dalla presenza carismatica del protagonista e dal coinvolgimento emotivo che ogni brano riusciva a generare.

A fine serata, con la naturalezza di chi non ha mai indossato maschere da star, Wynn si è fermato a parlare con chiunque volesse avvicinarlo. Ha firmato libri, dischi, scambiato aneddoti e ringraziato con sincera gratitudine i tanti presenti. Un gesto semplice, ma che ha completato perfettamente il senso di una serata costruita sull’autenticità, sull’amore per la musica e sulla condivisione di storie vissute fino in fondo.

Il concerto al Monk è stato molto più che una presentazione di un nuovo disco o di un libro: è stato un atto d’amore verso la propria storia, i propri maestri e un pubblico che da decenni accompagna fedelmente un artista che non ha mai smesso di cercare, raccontare e creare. Steve Wynn non ha soltanto “fatto la cosa giusta”, come suggerisce il titolo del suo ultimo album. L’ha fatta nel modo più giusto possibile.

Recent Posts
Clear Filters

Gli High Fade, arrivano all’ Alcazar di Roma con il loro sound che spazia dal soul della Motown al rock dei Mötley Crüe

Steve Wynn con Rodrigo D’Erasmo e Enrico Gabrielli incanta il Monk di Roma: musica, memoria e magia in una serata irripetibile

“Al Centro Esatto della Musica” tour, Ron a Roma, un Concerto Applauditissimo all’Auditorium Parco della Musica.

Add Comment

Related Posts