Il 3 agosto 2024, il Monk Club di Roma ha ospitato Sonic Boom, al secolo Peter Kember, per una serata all’insegna della psichedelia nella sua accezione più elettronica, densa di sperimentazioni sonore come ci ha abituati da decenni.
L’artista britannico, noto per il suo contributo alla musica elettronica e psichedelica con band come Spacemen 3 e Spectrum, ha presentato i brani del suo ultimo lavoro, ‘All Things Being Equal’, capaci di riecheggiare l’enfasi sia rarefatta che esplosiva dei suoi lavori storici, ma al tempo stesso prendendo nuovo sentieri impervi, frutto anche delle sue recenti collaborazioni con Panda Bear (che personalmente non jo apprezzato molto, devo ammettere).
Il Monk Club, con la sua atmosfera intima e accogliente, si è rivelato la cornice ottimale per un concerto che prometteva di essere un viaggio sonoro, nonostante la canicola di questi primi giorni agostani. Il pubblico, composto da appassionati di lunga data e “soliti noti”, ha risposto tutto sommato in buon numero, contando appunto che parliamo di un concerto in piena estate. L’aria era carica di aspettative, con conversazioni animate che si mescolavano al suono dei bicchieri e al mormorio di chi si preparava a un’esperienza musicale unica.
Ad aprire la serata Ekranoplan, ovvero l’interessante progetto solista di Emiliano Tortora, che gioca da un lato con l’estetica anni ’60 e ’70 dei paesi del Patto di Varsavia, ma soprattutto esplora la musica elettronica dal gusto mitteleuropeo, dal kraut più “quadrato” di Kraftwerkiana memoria fino alle logiche conseguenze EBM che furono di gente come D.A.F. e Lassigue Bendthaus. Poco più di mezz’ora di live, in cui dalla Germania – sponda DDR – si sale su fino all’Hacienda di Madchester per poi planare sui rave Acid House dal gusto più psichedelico, quindi ampiamente in tema con la serata.
L’entrata di Sonic Boom sul palco è stata sobria, quasi in contrasto con il carattere ipnotico della sua musica. Con un’espressione concentrata e finanche disincantata, Kember ha salutato il pubblico con un cenno, senza troppi preamboli, lasciando che fossero i suoni a parlare per lui. Con un breve messaggio di benvenuto e gratitudine, ha dato il via al concerto.
Il set è iniziato con “Just Imagine”, traccia di apertura proprio del succitato ultimo lavoro, e sin dai primi istanti le onde sonore hanno avvolto il pubblico, creando un’atmosfera sospesa tra realtà e sogno. La combinazione di sintetizzatori, effetti e la voce eterea di Kember ha costruito un paesaggio sonoro ricco di sfumature, capace di trasportare l’ascoltatore in un viaggio interiore.
Brani come “The Way That You Live” e “Things Like This (A Little Bit Deeper)” hanno mostrato l’abilità di Sonic Boom nel mescolare elementi di elettronica minimalista con tonalità lisergiche, mantenendo sempre un equilibrio tra innovazione e tradizione. Ogni pezzo si è rivelato un’esperienza unica, con variazioni sottili che hanno mantenuto viva l’attenzione del pubblico, mostrando qualche reminiscenza nei confronti dei Coil del periodo ‘Moon’s Milk’, ma anche dei lavori solisti di Thighpaulsandra.
Uno dei momenti più memorabili della serata è stato l’esecuzione di “I Can See Light Bend“. Le luci del palco, sincronizzate con i ritmi pulsanti della musica, hanno creato un effetto visivo ipnotico, mentre la melodia ripetitiva e le modulazioni sonore sembravano piegare il tempo e lo spazio. In quei minuti, il Monk Club si è trasformato in un universo parallelo, dove ogni cosa era possibile e ogni suono un’esperienza sensoriale.
Nonostante la sua presenza scenica discreta, il musicista britannico ha dimostrato una connessione profonda con il suo pubblico. Le brevi pause tra un brano e l’altro erano accompagnate da sorrisi accennato e ringraziamenti stringati, per poi partire verso nuove sponde spaziali e interiori.
Il concerto di Sonic Boom è stato un evento che ha saputo coniugare l’intimità di un piccolo locale con la potenza espressiva della musica psichedelica. “All Things Being Equal” si è rivelato un album capace di esprimersi appieno dal vivo, grazie alla maestria di Peter Kember nel creare atmosfere uniche e coinvolgenti, pur ovviamente non discostandosi molto dal suono delle tracce originali. Una serata che, senza sensazionalismi, ha lasciato il segno nelle sinapsi di chi ha avuto la fortuna di esserci, ricordando a tutti il potere trasformativo della musica del buon vecchio Kember.