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Poker d’eccezione alla Casa del Jazz

I supergruppi sono un fenomeno ben noto nella musica rock, ma anche nel jazz le grandi star si uniscono regolarmente per realizzare album e conseguenti tour dai nomi altisonanti. Il sassofonista Chris Potter, il bassista John Patitucci e il pianista Brad Mehldau si sono riuniti per suonare nel tanto chiacchierato nuovo album di Potter, ‘Eagle’s Point’, dove l’alchimia espressa nei suoi solchi ha raggiunto livelli di straordinaria bellezza, e le composizioni del sassofonista americano lasciano un’impressione profonda e duratura. Dal vivo, al trio si unisce il batterista Jonhathan Blake, motore ritmico irrefrenabile, dalla “botta” fragorosa su pelli e cimbali sulla scia di grandi come Billy Cobham e Simon Phillips, ma anche capace di fill raffinati, senza dover mai sentire l’urgenza di far vedere i muscoli sulla sua batteria. Ciascuno dei quattro musicisti ha costruito una propria opera notevole e ha lavorato a collaborazioni eccezionali: il loro “riassunto collettivo” di collaborazioni comprende una vasta gamma di nomi importantissimi, da Pharoah Sanders e Wayne Shorter a Sting, così come Paul Simon, Herbie Hancock, Pat Metheny e Avishai Cohen, tanto per fare solo alcuni nomi. Certo che perdersi dinnanzi la bravura congiunta di questi quattro mostri viene naturale, e non è detto che la somma di talenti del genere per forza di cose porti ad un’alchimia vincente e a risultati coinvolgenti: il jazz, come tutta la musica, non è una scienza esatta, ma possiamo dire sena timore di smentite che, in questo caso specifico, il meraviglioso tocco di Mehldau, l’innovatore Potter, il virtuoso Patitucci e il tuttofare Blake hanno creato qualcosa di davvero speciale, creando un flusso peculiare di note, idee, strutture, incastri, assoli e naturalmente improvvisazioni di altissimo livello.

Il crepuscolo romano si è fuso con le note di una sinfonia perfettamente orchestrata quando il quartetto ha incantato il pubblico nel giardino della Casa del Jazz, accorso numeroso (la data era sold out) nonostante la serata capitolina offra un clima torrido non proprio confortante. Un evento che non solo ha arricchito l’estate romana, ma ha anche celebrato l’eccellenza musicale di quattro maestri del jazz contemporaneo, ognuno dei quali ha portato sul palco la propria inimitabile magia.

Il giardino, illuminato dalle luci soffuse e avvolto da una lieve ma continuo canto delle cicale, ha creato l’atmosfera perfetta per una serata indimenticabile. Con la loro sinergia unica, Potter, Mehldau, Patitucci e Blake hanno trasportato il pubblico in un viaggio musicale che ha spaziato dalle delicate sfumature del piano di Mehldau – che riesce al solito ad unire il lirismo melodico agli intricati passaggi ritmici, oltre ad un solismo ispiratissimo – alle vigorose linee di Patitucci (che al contrabbasso riesce a coinvolgermi molti di più di quando imbraccia il basso elettrico), passando per i ritmi incalzanti di Blake e culminando nei virtuosismi al sax di Potter, più attento alla qualità del suo suono che all’esposizione delle sue improvvisazioni.

Acclamati, tornano sul palco per un encore in cui si divertono a giocare con gli standard, ma con la loro attitudine, che nel frattempo è confluita in uno stile rinnovato e che non è solo un’addizione dei loro singoli talenti. 

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