Partiamo dalla fine stavolta, ovvero da quando Will Sheff esce fuori dal backstage per andare al banco del merchandise a firmare dischi e per farsi foto coi fan, intrattenendosi con loquace e pacata simpatia.
Personaggio sincero il buon Will, che ha intrapreso questo tour europeo, che potremmo definire il suo primo da solista, anche se line-up e ovviamente la scaletta sono legate a doppio legame con la band di cui è anima, mente e voce da sempre, anche se formalmente sta promuovendo ‘Nothing Special’, ovvero il suo esordio “solista”.
Lui stesso ci dice dal palco che “non sa nemmeno quanto sia un tour a suo nome e quanto invece sia un consueto girovagare con gli Okkervil”, tanto le due cose si intrecciano senza soluzione di continuità.
E anche quando sale sul palco del Monk (dopo la breve ma graziosa esibizione in apertura di Claudia Buzzetti, cantautrice dai brani anglofoni e una timbrica vocale che la fa sembrare una versione soulful di Ani DiFranco), la sua voce davvero unica catalizza magneticamente qualsiasi cosa stia fluttuando in quel momento, divincolandosi tra le malinconie acustiche recenti, le esplosioni folk-rock dense di parole scandite su melodie dal grande impatto emotivo, per poi fondersi con la band in quello che in fin dei conti è pura musica degli immensi spazi d’Oltreoceano.
Soprattutto dal vivo, ci si rende conto che nella scrittura di Sheff c’è anche una componente di Southern Rock 2.0 (d’altronde parliamo di una band texana…), se mi passate il termine, ovvero un suono classicamente rock suonato però con un piglio diverso e portato per mano verso un pubblico indie-rock ad ampio respiro. Mentre brani nuovi si fondono egregiamente con i brani più amati del catalogo della band di Austin, si crea un silenzio irreale in sala, per non perdere nemmeno una sfumatura (particolarmente evidente durante la splendida ‘So Come Back, I Am Waiting’), con Sheff che a tratti molla gli ormeggi (e gli strumenti) e si mette a fare il frontman vero e proprio, con quella sua timbrica vocale capace di richiamare alla mente tanto Matt Berninger che Robert Smith.
Volendo proprio essere pignoli, qualcosa da ridire sul chitarrista ci sarebbe, portatore del suono giusto ma con un’attitudine troppo indie per questi brani, che per struttura avrebbero bisogno di un respiro più profondo e di un tocco un po’ meno sporco, soprattutto nei momenti più concitati e nei rari spazi in cui la lead guitar prende il sopravvento. Richiamato a gran voce per i previsti bis, si vola davvero alti con tre meraviglie conclamate degli Okkervil, ovvero l’evocativa ‘For Real’, l’incalzante ‘John Allyn Smith Sails’ e la conclusiva ‘No Key, No Plan’, sulle cui note si chiude un’ora e mezza di grande musica americana.