Il concerto dei Fear, capitanati dall’indomabile Lee Ving è stato una vera e propria esplosione di energia anarcoide, come non se ne sentiva da un troppo tempo. Tra gli alberi del parco romano, l’hardcore punk ha risuonato come un urlo primordiale, ribelle e irresistibile, trascinando il pubblico in una sin dal pomeriggio, quando alcune band romane sono salite sul palco oer brevi set. Riuscita la policy degli organizzatori, perché chi entrava ai concerti già nel pomeriggio, non pagava alcun biglietto.
Tra questi gruppi, una particolare menzione la meritano senz’altro i No More Lies, classico punk Oi! ma con qualche sferzata “scandinava” che ricordano band come Hellacopters e Gluecifer. Ancor più coinvolgente la prova dei Cockroaches, dediti al più classico psychobilly a metà strada tra Cramps, Meteors e Demented Are Go.
La fervida emozione per l’hardcore punk prende poi il sopravvento quando sul palco salgono i Raw Power, senz’altro la band più storica e celebre (anche e soprattutto all’estero, specie durante gli anni ’80 negli States) che il nostro Stivale abbia mai avuto. Nonostante siano in giro dal 1981 e con gli inevitabili rimpasti di line-up nel corso dei decenni, i brani da ‘You are the victim‘ e ‘Scream from the gutter’ suonano ancora come schegge impazzite anche nel 2024, mandando ai matti sotto il palco gli avventori di ogni età, tra cui una ragazza che decide di salire sul palco nom per fare stage diving, bensì per mostrare parte parte delle sue grazie, riuscendo in effetti nell’intento di alzare ancora di più la temperatura…
Lee Ving, riposta ormai la chitarra e dedicandosi solo alla sua voce roca ma a modo suo blues, ha dominato la scena come un leone in gabbia, pronto a scatenarsi. Sin dal primo accordo di ‘I don’t care about you’ l’atmosfera si è incendiata all’istante. Il pubblico, composto da veterani e molti giovani (anche adolescenti, con mio stupore) curiosi, si è lanciato in un pogo furibondo, trasformando Villa Ada in un’arena di sudore, sorrisi e gomitate.
Ad essere sincero, sulla band di L.A. avevo aspettative pari a zero, e invece dopo due pezzi ho perso il controllo, finendo sotto palco a prendere botte, alzare polvere e a urlare tutti i brani che hanno fatto da ‘The Record’, che ancora conserva la tracotanza di potersi intitolare in quel modo.
I Fear non hanno deluso le aspettative, snocciolando uno dopo l’altro i loro brani più iconici. ‘Let’s Have a War’ ha scatenato un’energia contagiosa, con il pubblico che urlava il ritornello come se non ci fosse un domani. Lee Ving, tra un riff e l’altro, non ha mancato di lanciare frecciate e battute taglienti, mantenendo viva la tradizione provocatoria della band. Ogni pausa tra un brano e l’altro era un’opportunità per Lee di ricordare a tutti perché il punk è nato: basta una parola o un semplice gesto a risvegliare un mondo che, in buona parte, non esiste più.
A sorpresa ma non troppo la band – ovviamente ringiovanita, ma che vede comunque la presenza del membro originale Spit Stix, a menare come un fabbro dietro la batteria – ha eseguito una cover avvolgente di ‘Ramblin’ Gamblin’ Man’ di Bob Seger, eseguita con una ferocia e una passione tali da far tremare anche gli alberi di Villa Ada. Il pubblico è andato in delirio, abbracciando appieno lo spirito ribelle e iconoclasta dei Fear.
Lee Ving, con il sorriso sornione di chi sa di avere ancora molto da dire, ha saputo giocare con l’entusiasmo del pubblico, creando un legame indissolubile tra palco e platea.
La serata ha avuto anche momenti di pura follia. Durante ‘New York’s Alright If You Like Saxophones’, una fan ha tentato di salire sul palco, tentando senza successo di ballare insieme alla band, ma questa volta La security ha faticato non poco a farla scendere a piu miti consigli.
La chiusura invece è stata affidata ad una versione riveduta e slabbrata di un vecchio Blues, con Ving che si lascia andare ad un classico assolo di armonica, per suggellare una serata a dir poco incredibile. I Fear hanno dimostrato di essere ancora una forza indomabile della musica, capaci di infiammare i cuori e le menti con la loro energia inarrestabile.
In conclusione, il concerto dei Fear a Villa Ada è stato un trionfo di ribellione, passione e pura gioia musicale. Lee Ving e la sua band hanno offerto una performance indimenticabile, ricordando a tutti che il punk non è solo musica, ma un modo di vivere e di sfidare il mondo.
E dopo aver visto quel meraviglioso farabutto di Lee Ving a 74 anni aizzare la folla, e Spit Stix a 69 anni picchiare pelli e cimbali come un ragazzino, mi sento vecchio all’improvviso. Addio! Anzi no, Let’s have a war! I don’t care about you!