Esordire nel panorama musicale italiano con un EP che si propone come una dichiarazione d’intenti chiara e audace è un rischio che Selva Oscura affronta con coraggio e coerenza. L’omonimo lavoro della band, disponibile dal 6 dicembre 2024, è un concentrato di energia, introspezione e misticismo che fonde sapientemente l’hard rock di matrice Sabbathiana con la psichedelia più pura e visionaria, richiamando le sonorità anni ’90 di Soundgarden e Screaming Trees.
Il progetto è una “selva” tanto oscura quanto magnetica: i riff di Umberto Maria Giardini ed Enrico Blanzieri creano paesaggi sonori ruvidi e potenti, mentre il basso e la batteria dei fratelli Michele e Filippo Dallamagnana danno vita a un groove tribale ed ipnotico. Senza compromessi o mezze misure, Selva Oscura si afferma come un’esperienza totalizzante, che si prende il lusso di essere fuori dal tempo, lontana dalle mode e dai cliché della discografia contemporanea.
Un debutto che non lascia dubbi: questa band ha qualcosa da dire e lo esprime con un suono unico, potente e inconfondibile.
Abbiamo intervistato Umberto Maria Giardini (voce e chitarra), che ci ha raccontato il nuovo lavoro discografico.
La “Selva Oscura” di Dante evoca smarrimento e introspezione. Nel vostro EP, questo concetto viene declinato attraverso l’hard rock e la psichedelia. Come avete cercato di tradurre l’oscurità e il misticismo in suono, e quali sono le vostre fonti principali di ispirazione letterarie, filosofiche o visive?
L’oscurità e il misticismo sono predisposizioni umane che fanno parte del nostro DNA, ognuno di noi lo vive e ne traduce i suoi significati in modo estremamente differente, anche alla luce del fatto che, abbiamo età e vite molto diverse. Il riferimento a Dante Alighieri non ci ha condizionato minimamente non tanto per il fatto che disconosciamo il sommo poeta e la sua opera in sé, ma quanto per il fatto che, non abbiamo nessun tipo di preparazione legata al mondo della cultura; di conseguenza non possiamo né attingere né tantomeno seguire nessuna fonte di quelle citate, se così fosse sarebbe meraviglioso, ma può anche darsi controproducente. L’arte si nutre di arte ma occasionalmente anche di nulla, lo dimostra ampiamente la scena musicale odierna, dove l’ignoranza e l’inadeguatezza regna sovrana, sia da parte dei musicisti che degli addetti ai lavori.
2)Descrivete il vostro suono come “nero” e “nascosto in un fondo piatto senza luce”, un’immagine che richiama profondità e mistero. Quali scelte artistiche e tecniche avete adottato per tradurre questa visione in musica, e quale ruolo gioca il vinile nel valorizzare queste caratteristiche?
La scelta del suono è stata dettata e indirizzata dalla semplice applicazione e conoscenza degli strumenti, degli amplificatori e dei pedali utilizzati nelle fasi di pre-produzione e successivamente di REC. del nostro lavoro d’esordio. Tutto deriva sicuramente da quelli che sono stati i nostri ascolti nell’età più giovane, ma anche da un certo senso di personalità applicata alla musica. Il vinile in realtà non valorizza assolutamente nulla, specie oggi dove qualsiasi cosa va bene; il supporto, oltre che il cd e il digitale, è semplicemente una scelta obbligata anche in riferimento al genere di musica che rappresentiamo, non avremmo mai potuto non stampare il formato in vinile. La verità è che moltissime persone acquistano i vinili ma pochissime sono quelle che poi lo ascoltano realmente. Diciamo che nonostante il passare del tempo, il vinile rimane senza dubbio un oggetto straordinario da vedere, toccare e ascoltare, ma ripeto, data l’epoca in cui viviamo, purtroppo ha sempre meno significato, se non simbolico.
Nella tracklist si notano titoli che richiamano elementi naturali e simbolici, come “Mercurio” e “Oceano di nessuno”. Qual è il filo conduttore tra questi brani, e come dialogano tra loro per costruire il non-luogo che definite “Selva Oscura”?
I testi e le liriche sono perlopiù farina del mio sacco, poiché sono io che mi occupo di questo aspetto. Coniugo il tutto attraverso la “visionarietà” di quello che scrivo, in una forma abbastanza difficile da decifrare, ma contemporaneamente efficace, ottenuta dal perfetto mix tra oggettività e sogno psichedelico. Ognuno deve tradurre quello che ascolta in maniera personale per poi immergersi nell’insieme che viene costruito attorno al suono. Non esiste un filo conduttore in sé, se non quello del fortissimo richiamo della natura di matrice culturale decisamente nordica. A questo si accoppia una forma di disillusione causata dal mio personale carattere e visione della vita, probabilmente condizionata dai miei trascorsi in giovinezza in nord Europa.
Il vostro sound si rifà agli anni ’90 e all’hard rock di stampo sabbathiano, ma con un’identità volutamente nuova e senza compromessi. Quali strategie avete adottato per superare le convenzioni del rock moderno, creando un’esperienza sonora che non è solo nostalgia, ma anche innovazione?
Purtroppo, faccio difficoltà ad intercettare tutte queste caratteristiche in Selva Oscura, mi lusingano e quindi ne prendo atto, ma dovrei inventarmi cose non vere nel raccontare particolari strategie e/o motivazioni che ci hanno permesso di ottenere quello che siamo. Abbiamo più che altro dato spazio alla concentrazione e alla voglia di fare bene qualcosa di nuovo, il resto è venuto fuori da sé senza un particolare sforzo ne obbiettivo. Abbiamo e avremmo ancora molto da dire, ma saranno tempo e circostanze a determinare se davvero accadrà.
Avete descritto la genesi del progetto come un incontro casuale, ma il risultato è un’opera molto strutturata e concettuale. Quanto il processo creativo è stato influenzato da momenti di pura improvvisazione rispetto a una pianificazione deliberata, e come siete riusciti a mantenere questa tensione tra caos e controllo?
Tutto è accaduto senza alcuna particolare esigenza, quello che è stato a mio avviso determinante è stata la sola concentrazione nel lavoro, l’approccio, evitando di cazzeggiare e perdere tempo dedicandosi invece all’arte di creare, ore e ore, suonando e capendo se la direzione presa fosse quella giusta. Esistono centinaia e centinaia di ragazzi e band capaci di scrivere cose straordinarie oggi, quello che manca è il metodo e l’applicazione dello stesso. Noi non abbiamo avuto questi problemi, ci siamo dedicati subito a lavorare a testa bassa. Oggi per fare un album di alta qualità occorrono solamente i soldi, il resto è estremamente semplice e veloce specie per musicisti come noi. Se mi fosse data la possibilità scriverei anche tre/quattro album all’anno, questo è l’unico limite.
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