I P.d.C. (Poetica da Combattimento) con il nuovo singolo “Due maree” ci invitano a riflettere sulla nostra realtà e a porci domande fondamentali sulla direzione in cui stiamo andando come società. In questo brano, la band esplora la sensazione di sentirsi goffi e confusi, ma soprattutto incazzati di fronte a una realtà poco lucida che sembra aver perso di vista concetti fondamentali come la bellezza, la poesia e la collettività.
“Due maree è un flusso di coscienze contrastanti, è una dichiarazione di intenti”.
Il videoclip di “Due maree”, diretto da Pino Carbone, è stato girato presso “L’Oasi di Silvia Scarpa”.
La società vista come un fondale marino, dove ognuno compie le proprie traiettorie e il risultato è un concerto di movimenti, di colori, di intenzioni. L’idea è di attraversare questo caos concreto e magico al tempo stesso, avendo un’idea che ci anima, uno sguardo che riesce ad andare oltre.
“Non abbiamo tempo, troppo spesso, per osservare la nostra società. Dobbiamo riacquistare lucidità e guardare le cose semplicemente per quello che sono. Questo pezzo è una sveglia collettiva. È un perdersi nel caos quotidiano per poi affacciarsi sul mare.”
Benvenuti su 100Decibel. “Due maree” è il terzo singolo estratto dal vostro debut album “LIFE“. Potete raccontarci qualcosa in più sulla canzone e su cosa l’ha ispirata?
Eravamo in fase di pre-produzione. Mancava poco per entrare in studio e dovevamo ancora lavorare all’ultimo pezzo, “Due Maree”, appunto, che praticamente ancora non c’era. Quindi ci siamo chiusi in sala e dopo circa 6/7 ore di tentativi è nata in un colpo solo “Due Maree”. Quando Antonio ha trovato gli accordi giusti, Alfonso ha scritto le parole, Ruben ha sistemato la struttura generale e ritmica con Pierfrancesco Vairo (batterie in studio), si è trovata la forma definitiva e il brano è rimasto così fino all’incisione. Nello specifico non si può parlare di una vera e propria ispirazione, ma piuttosto dell’esigenza, della necessità di tirare fuori quelle parole e di metterci in ascolto con noi stessi. È il dialogo di un individuo davanti allo specchio.
“Due maree” è prodotto da Filippo Buono. Ci potete raccontare di più sulla collaborazione e su come è stata l’esperienza di lavorare insieme a lui al Monolith Recording Studio?
Con Filippo è stato amore a prima vista. Eravamo alla ricerca di uno studio con determinate caratteristiche e Marcello Venditti di Overdub Recordings, la nostra label, ce lo segnalò. Quando siamo entrati nel Monolith Recording Studio per farci una chiacchierata, è bastato poco per capire che eravamo nel posto giusto. Filippo, oltre ad essere un vero professionista, ha una strumentazione che ti permette di poter spingere il lavoro in luoghi sconosciuti e sorprendenti. È riuscito a vestire l’intero album con un gusto che ci ha emozionato. È sempre stato disponibile nel discutere qualunque dubbio avessimo. Ormai lo consideriamo a tutti gli effetti un membro della band.
Il vostro percorso artistico è nato come duo nel 2019, e nel 2022 avete incontrato Ruben Iardino, che ha contribuito al vostro primo lavoro in studio, “LIFE“. Come è nata questa collaborazione e in che modo ha influenzato il vostro approccio musicale?
Ruben e Alfonso si conoscono da molti anni, essendo nati nello stesso quartiere di Napoli, Bagnoli. Frontman dei Mamasan nei primi anni duemila, Ruben ha girato gran parte dell’Italia con la sua band, andando per mesi in rotazione su Rock TV. C’era bisogno di un orecchio esterno che potesse dare al lavoro quella trasversalità che mancava. Ruben è stata la persona giusta nel momento giusto per ricoprire il ruolo di produttore artistico. Lui è riuscito, senza privare il lavoro della sua identità, a far emergere l’anima dei P.d.C., portando i brani ad essere più incisivi e intellegibili.
“Basta così poco” e “Il mondo non è feat. ‘O Zulù” sono stati i vostri primi singoli estratti. Ogni canzone sembra portare con sé un messaggio unico. Cosa volete comunicare attraverso la vostra musica e quali temi vi interessano di più?
Parliamo di politica, di amore, di ribellione, del rapporto tra individuo e società, di disillusioni e speranze. Cerchiamo di indagare e interpretare ogni tema in maniera personale, in una chiave innanzitutto emozionale, con l’obbiettivo di costruire con l’ascoltatore un momento autentico di condivisione.
Infine, cosa possiamo aspettarci dal vostro debut album “LIFE“? Ci sono temi o elementi musicali particolari che emergono nel lavoro complessivo dell’album?
Bisogna tornare a comunicare dando importanza ad ogni singola parola, essendo presenti a noi stessi, interessandoci a quello che ci accade intorno e dentro. La sensazione è di trovarci in un tempo in cui il progresso ha superato l’evoluzione. Ogni brano restituisce un aspetto della vita filtrato attraverso la nostra sensibilità, da qui il titolo dell’album LIFE. Questo può generare in chi ascolta empatia, ma anche costruttivo dissenso e va bene in entrambi i casi, se suscitiamo l’urgenza, la necessità di parlarne. Se c’è forse una cosa che, sopra tutte, cerca di comunicare il nostro lavoro, è ribellarsi all’apatia con cui, attraverso una moltitudine di distrazioni, la società cerca di sedarci. “L’intrattenimento va bene, ma non può esistere solo quello”.