Con Gravenia, la band ci invita ad un viaggio sonoro che non fa sconti: dieci tracce dove il rock si spoglia di ogni artificio, lasciando che la crudezza dei suoni e dei temi prenda il sopravvento.
Cosmo apre il disco con un’ambientazione sospesa, quasi cinematografica, mentre Belve ci catapulta in un vortice sonoro di rabbia e alienazione. Infinità è un inno all’immaginazione, caratterizzato da un groove ipnotico, mentre Maremoti tocca corde intime con una delicatezza che emerge in contrasto al peso del riffing. Con Ruggine, la narrazione si fa ancora più personale e profonda: il protagonista è invisibile, in una ricerca disperata di una libertà assoluta, fisica e spirituale, che lo porta a mettere in discussione il proprio corpo e la sua stessa essenza. L’anima più sperimentale della band si svela in Vetro, una parentesi strumentale che amplifica la tensione emotiva dell’album.
La seconda parte del disco si addentra in territori oscuri: Serpenti è un manifesto di disagio generazionale, e Sciame affronta il tema del suicidio con una brutalità disarmante. Orbita e Ossigeno chiudono l’album in un crescendo emotivo: il primo evoca paesaggi notturni e inquieti, mentre il secondo è una catarsi, un abbandono verso l’ignoto.
L’uso di pedali fuzz, accordature ribassate e una produzione analogica conferiscono al progetto discografico una personalità ben definita, capace di conquistare sia gli amanti dello stoner rock che coloro in cerca di esperienze musicali autentiche.
L’album è costruito attorno a temi complessi come alienazione, perdita e ribellione. Quanto questi elementi riflettono le vostre esperienze personali?
Questi temi sono molto importanti per noi, proprio perché sono sentimenti che proviamo in prima persona, soprattutto io che scrivo i testi delle canzoni. Erano il centro degli stati d’animo che ho vissuto durante la scrittura del disco.
Le vostre canzoni hanno un sound molto viscerale. Come si bilanciano la spontaneità delle jam session e la precisione della produzione in studio?
Ci siamo trovati sin da sùbito molto bene in studio. Siamo stati fortunati a trovare un produttore come Marco Schietroma, ci ha fatto sentire a casa dal primo giorno di lavoro e questo è fondamentale per una band che intraprende il percorso di registrazione.
C’è una grande varietà di atmosfere nell’album. Quali sono stati gli strumenti o le tecniche che hanno reso possibile questa ricchezza sonora?
Abbiamo avuto un approccio molto essenziale. La base del nostro suono è composta da chitarra, basso e batteria. Abbiamo arricchito il tutto in studio con sovraincisioni di voci, echi e delay. Ci siamo anche divertiti ad usare per l’ultima traccia un synth che si è rivelato fondamentale per completare Ossigeno.
Il vostro processo creativo è più istintivo o riflessivo? Come riuscite a trasformare idee grezze in canzoni compiute?
La nostra attitudine è naturalmente istintiva. Partiamo da un’idea di base che in saletta iniziamo a modellare come meglio crediamo. Fino ad ora abbiamo sempre lavorato così.
Quanto conta per voi il rapporto con il pubblico nei live? La vostra musica sembra avere un forte impatto emotivo dal vivo.
I live sono una delle parti più importanti del progetto Gravenia. Ci danno l’opportunità di condividere ciò che avviene in studio con il pubblico. È un’ottima occasione per migliorarci sia musicalmente sia emotivamente.
Dove vedete Gravenia tra cinque anni? Avete un’idea precisa del vostro percorso futuro?
È difficile poter dire oggi quali siano i nostri progetti futuri. Di sicuro la nostra prospettiva è continuare a scrivere altro materiale da poter registrare e portare in giro nei locali.