Con Blatte, VIVO esplora le profondità della coscienza attraverso sonorità oniriche e riflessive, fondendo sogno e realtà in un viaggio musicale che affronta temi personali e sociali. Al centro dell’album, il brano La Blatta usa l’immagine di questo animale spesso disprezzato come metafora di resilienza e ribellione, paragonandolo a “gli ultimi della società”.
Blatte non è solo critica sociale: VIVO sperimenta con influenze che spaziano dal jazz alla musica etnica, creando un mix sonoro unico che riflette il suo percorso artistico eclettico. Con un’attitudine punk e un approccio autentico, l’artista invita il pubblico a riflettere e confrontarsi con emozioni scomode, trasformando la musica in uno specchio di consapevolezza e connessione.
“La Blatta” è un brano molto potente, sia dal punto di vista musicale che concettuale. Cosa rappresenta per te questa figura della blatta e perché hai scelto di usarla come simbolo di resilienza e ribellione?
La Blatta è un animale infestante che si riproduce molto rapidamente. Analogamente, le idee sovversive possono dilagare e diffondersi. La Blatta fa schifo a tutti, e nessuno è lieto di accoglierla in casa (io sono il primo ad esserne terrorizzato!), tuttavia ho voluto vestire queste sfortunate bestiole di tanta fierezza e restituirgli dignità, facendo un parallelismo tra loro e “gli ultimi della società”.
Nel brano emerge una forte critica alla società e alle sue gerarchie. Come vedi la tua musica in relazione a queste tematiche socio-politiche? Pensi che l’arte abbia una responsabilità nel provocare riflessioni sul mondo che ci circonda?
Ogni nostra azione è politica, ogni scelta. Anche in quello che mangiamo c’è politica. La politica è nelle nostre case, nel tipo di educazione che impartiamo ai nostri bambini. L’arte in sé non ha alcuna responsabilità, tuttavia anche la scelta di un suono o di un determinato linguaggio anziché un altro, è una scelta di carattere politico. Concludo citando il mitico Freak Antoni nel brano “Merda D’Artista”: «La merda ha un odore, Oggi l’arte nemmeno quello».
Il tuo album “Blatte” esplora temi profondi e personali, spesso su sonorità elettroniche e influenze che spaziano dal jazz alla musica etnica. Come hai integrato queste diverse influenze nel tuo lavoro e quale messaggio intendi trasmettere attraverso questa fusione sonora?
Non c’è un messaggio che intendo trasmettere attraverso la fusione sonora che caratterizza l’album. Per quanto mi riguarda, questa contaminazione è l’inevitabile conseguenza di un percorso artistico mai lineare, della mia personalità sempre incline alla sperimentazione, delle tante influenze raccolte negli anni.
“Blatte” non cerca di piacere o compiacere, ma stimola riflessioni scomode. Come pensi che il pubblico reagisca a un lavoro così crudo e intenso? E quali emozioni speri di suscitare in chi ascolta il tuo album?
Le emozioni che spero di suscitare riguardano sicuramente la sfera della comprensione. Mi auguro che, chi mi ascolta, si senta compreso e “salvato” dalla possibilità di riflettersi e riconoscersi in una canzone. Che è esattamente quello che è successo, e che ancora oggi succede a me.
Nel tuo percorso musicale hai spaziato dalla musica da strada al conservatorio, dal busking all’introspezione. Come queste esperienze ti hanno influenzato come artista e in che modo le integri nel progetto VIVO?
Non c’è un ordine preciso che mi consente di integrare le mie esperienze musicali e di vita all’ interno di un unico progetto. Sai, io credo che siano come tanti piccoli tasselli che contribuiscono, ognuno a suo modo, alla realizzazione di un disegno più grande. Quindi potrei dire che l’ordine è del tutto casuale. L’introspezione appartiene al mio quotidiano, ma anche fare l’artista di strada… magari quando sto suonando, suono e basta. Invece penso e rifletto (magari annoto idee su un taccuino) mentre rincaso. Il conservatorio mi ha permesso di ottenere una tecnica strumentale come sassofonista, ma nel canto conservo una punk attitudine che non insegue la perfezione. Per me è un po’ come un minestrone, più verdure ci metti dentro, più viene buono. Ciò che realmente conta è l’equilibrio tra queste parti.