Introduzione: Fabio Babini
Intervista a cura di: Serena Stamerra
Prima di salire sul palco per una delle tappe più attese del loro tour europeo, i 69 Eyes, band simbolo del gothic rock europeo, si preparano a celebrare un’importante pietra miliare della loro carriera: il ventennale del loro album cult ‘Devils’. In questa intervista rilasciata a 100 Decibel poco prima di salire sul palco per la loro data di Francoforte, Jyrky, il carismatico leader del gruppo, si dimostra pacato ma anche un fiume in piena nel raccontare il significato di questo traguardo, i momenti indimenticabili legati all’album, e cosa i fan possono aspettarsi da questo tour speciale. Con il suono unico dei 69 Eyes, che ha attraversato (oramai) decadi e generazioni, è il momento perfetto per un viaggio indietro nel tempo e uno sguardo al futuro di una delle band più iconiche del panorama rock finlandese.
Dopo il grande successo di ‘Death of darkness’, che vi ha portato in tour per parecchio tempo in diversi paesi, è il momento di rivolgere lo sguardo all’indietro. Come ti senti adesso dopo 20 anni dall’uscita di ‘Devils’?
Jyrki: “Abbiamo suonato in un paio di concerti, e questa cosa non l’avevamo mai fatta prima d’ora. E’ la prima volta che facciamo concerti in cui celebriamo un album del passato, e ad essere sincero non stiamo celebrando niente, ma siamo anche una band attiva da 35 anni, e ala fine abbiamo pensato che ci potessimo il lusso di concederci qualche celebrazione”.
E’ come dire “The 69eyes esistono da 35 anni”.
“Cinque anni fa (suonavamo già da trent’anni), diciamo che è stato qualcosa che ci ha fatto sentire di dover tenere un profilo basso per quanto lontano saremmo andati, perché le persone ci hanno sempre
percepito come un gruppo spontaneo ed effettivamente vorrei credere questo, ma non so se è così. Noi proviamo comunque a mantenere tale aspettativa. Da parte mia, inoltre, cerco di essere concentrato sul presente, e sul futuro imminente, invece di sprecare energie guardando indietro nel passato. Questa è la prima volta che penso in questo modo, in fondo come è successo con l’ultimo album, perché di base sentiamo sempre l’urgenza di produrre nuovi lavori.
Creare un nuovo album significa produrre 10-12 canzoni, ovvero l’urgenza di musica nuova, con l’obiettivo di dare alle persone la possibilità di chiedere ai club delle loro città. Insomma, suona un po’ come: ” Ehi, i 69eyes hanno prodotto un nuovo album, vogliamo vederli suonare qui!”. Questo è il vero motivo, il nostro reale obbiettivo. Pertanto, come 20 anni fa eravamo eccitati, perché stavamo realizzando nuovi brani per i fan, così lo siamo ancora adesso, anche se credo nello stesso tempo che la nostra musica migliore l’abbiamo realizzata venti o trenta anni fa.
I brani di quel periodo, incluso ‘Devils’, sono stati creati dalla persona che ero vent’anni fa o più; quindi non voglio competere con quella persona che in passato ha prodotto quelle canzoni, perché i nostri vecchi brani sono ancora trasmessi in radio.
In Finlandia c’è un gruppo di fan che ritiene che i nostri migliori lavori siano di quel periodo, e le radio locali ancora trasmettono diversi brani anche di quel momento, che poi sono i nostri brani più conosciuti”.
Questa situazione di successo “storicizzato” come ti fa sentire?
“Sono soddisfatto della musica che abbiamo creato, ma non sono contento di dover competere necessariamente con me stesso.
Anche se andando indietro di 20 anni a quando abbiamo realizzato ‘Devils’ – di cui Lost Boys è la nostra canzone più conosciuta – sono molto orgoglioso di questo. Stiamo celebrando infatti una canzone che ha già vent’anni, e d’altronde ‘Devils’ è stato il nostro album che ha riscosso più successo, specialmente in Finlandia, dove abbiamo ricevuto il disco di platino. Il nostro più grande successo di sempre.
La band non è mai stata così grande come in quel periodo, e così abbiamo pensato che forse quei brani avessero attecchito più in profondità.
Qualche volta attraverso i social media i fan ci hanno chiesto se potevamo celebrare l’intero album, non solo Lost Boys, e così abbiamo provato a farlo. Ad oggi abbiamo suonato solo due concerti e suoniamo l’intero album, anche se aggiungiamo qualche brano classico del repertorio dei 69eyes. Ed è stato molto bello, perché credevo che le persone non sarebbero state interessate veramente, cioè credevo: ”Ok, verranno a vederci suonare, grattandosi la testa quando sentiranno i brani di ‘Devils’
che non sono così conosciuti!”, ed invece è stato l’opposto! Parlo dopo due show che abbiamo fatto. Abbiamo suonato come se avessimo fatto i nostri brani classici, e quando abbiamo proposto l’album per intero è stato un successo, perché alle persone piacevano davvero quelle canzoni.
Un’esperienza grandiosa e pazzesca allo stesso tempo, e continua ad esserlo. E in fondo anche inaspettata…
Ad oggi abbiamo suonato in Repubblica Ceca, Germania, e stasera di nuovo in Germania. Poi andremo in Svizzera, di nuovo sul suolo tedesco e chiuderemo il tour in Finlandia dove l’album ha da sempre è tenuto in grande considerazione. Suoneremo fino alla fine dell’anno, poi tireremo le somme su tutta questa esperienza. Certamente sono molto soddisfatto di quanto sta avvenendo, ma è anche un grande stress perché non sai mai cosa aspettarti quando suoni ogni sera…
Così Devils è anche l’album che vi ha consacrato al pubblico americano.
“Possiamo dire che è stato un sogno per noi perché era tutto così
Emozionante, e quell’album ci ha portato sui palchi americani dove tutto era un nuovo per noi. Lì negli Stati Uniti, con nostra estrema sorpresa c’erano tantissime persone che aspettavano di vederci suonare da anni , e noi non sapevamo niente di questo perché i nostri album non avevano goduto di una grande distribuzione Oltreoceano. Così ‘Devils’ non ci ha portato solo a suonare in America, ma ci ha anche mostrato un nuovo pubblico che era lì per noi, e tutto questo credo che dipendesse dal contenuto delle nostre canzoni, che sono sempre state inspirate totalmente dalla cultura Pop americana. Era una cosa nuova per loro, perché avevano capito che nonostante non fossimo di madrelingua
inglese, avevamo comunque nel nostro background la loro cultura, la cultura pop che abbiamo poi trasferito nelle nostre canzoni.
Quando siamo andati in America vent’anni fa, ci siamo creati all’improvviso una base per nuovi fans ed a amici ad Hollywood. Così abbiamo mantenuto la connessione con gli Stati Uniti, e tutto il resto è venuto in seguito”.
E una cosa fantastica ti è accaduta lì, hai avuto una collaborazione con Diane Warren.
‘Sì, questo però è accaduto due anni fa: una cosa sorprendente, perché lei si è offerta di produrre una canzone per i 69 Eyes, ed abbiamo potuto fare questa grande esperienza con lei. E’ stata una di quelle storie che dopo ti lasciano un grande vissuto. Ma la canzone, purtroppo, non è andata da nessuna parte. Nessuno ha mostrato interesse verso questo brano, non è stato trasmesso da nessuna radio da nessuna parte. Ma ci sta, questo è uno di quegli aspetti che fanno parte dello show business, dove spesso si vive più di battute d’arresto che di successi”.
Comunque ‘Fade to Grey’ resta un brano bellissimo…
“Grazie, penso però che più in là rimetterò a mano su quella canzone, per la quale ho delle idee che mi girano per la mente.
Il vostro pubblico è vastissimo, e la vostra carriera sta crescendo a una velocità incredibile. Ultimamente, però, sembra che a seguirvi siano soprattutto i giovani.
“È vero, suoniamo i nostri brani da decenni, e cerchiamo di mantenerci giovani, anche perché, curiosamente, il nostro pubblico non è mai cambiato di età. È sempre lo stesso, ma ci sono anche persone della nostra generazione che continuano a seguirci. Quello che mi sorprende è che ci sono sempre più giovani, anche ventenni o trentenni, che si avvicinano alla nostra musica, e sono curioso di vedere come evolverà questa cosa. In alcuni paesi, addirittura, ci sono ragazzi che portano i loro figli ai nostri concerti”.
Cosa provi quando canti i brani del passato, soprattutto quando sei sul palco?
“Molte delle nostre canzoni sono davvero parte della mia vita, nascono dalle mie esperienze. Ora che stiamo suonando brani che non avevamo mai eseguito dal vivo, è un po’ strano, perché ogni volta che li canto, mi torna subito in mente la storia dietro quella canzone. In effetti, quando intono pezzi di periodi particolari della mia vita, mi capita di pensare: “Questo riguarda quella situazione”, oppure “Quest’altro mi fa venire in mente quella persona”. È una sensazione un po’ particolare, a volte anche triste, perché parliamo di storie romantiche senza speranza,
che ovviamente non sono finite bene. Però, trasformandole in canzoni, sono state in un certo senso una sorta di terapia per me”.
Questa domanda forse l’avrai sentita un migliaio di volte… Ma quanto la cultura e la musica gotica hanno influenzato la vostra musica, e se sì, quanto continueranno a farlo in futuro?
“Ho sempre amato la musica rock degli anni ’80. Da giovane ero un glam rocker, ma al contempo mi piaceva anche la musica gotica, perché i due stili andavano di pari passo. Andavi in un locale rock e ti trovavi anche un pubblico gotico, c’erano ragazze gotiche e la musica che suonava era proprio quella. Negli anni ’80, la scena gotica era viva e vibrante. Se volevi andare in un posto con persone interessanti, ovunque nel mondo, finivi in un club gotico. Questa era la realtà di un giovane rocker negli anni ’80 e nei primi anni ’90, anche a Roma c’erano locali gotici che facevano parte di quella cultura.
Come band glam rock, abbiamo voluto mescolare tutti questi stili che amavamo. Non è stato facile, e non è successo tutto all’improvviso; ci sono voluti anni di lavoro per creare il nostro sound. Quando abbiamo iniziato a fondere questi elementi, la musica gotica ha guadagnato nuovamente popolarità ed è diventata affascinante. È stato un po’ come per i Type O Negative, Marilyn Manson, o gli HIM. All’inizio degli anni 2000, abbiamo suonato di fronte a un pubblico che amava quel genere e siamo stati felici di questo, ma poi ci siamo fermati.
Eravamo confusi e temevamo di finire come tante band metal che conoscevamo, ma con cui non avevamo nulla in comune, perché la nostra musica è completamente diversa. La nostra musica ha più a che fare con il rock and roll, e grazie a questo siamo riusciti a esibirci in festival e a raggiungere un nuovo pubblico. È stato bello, davvero. Se guardiamo alla scena gotica, oggi è diventata molto elettronica e non vedo sviluppi né artistici né musicali. La scena sembra essere morta, come se non ci fosse più ispirazione, ed è strano perché sembra che improvvisamente tutti siano invecchiati. Inoltre, tanti club gotici nel mondo stanno chiudendo o lo faranno presto.
Anche i locali rock sono stati spazzati via, anche prima della pandemia. E quelli dove si suonava metal, ormai non esistono più. È un mondo che sta cambiando, e non sappiamo dove ci porterà. Però cerco di rimanere positivo, perché faccio parte di una rock band che è spesso in tour.
I club gotici sono sempre stati dei circoli elitari, e andarci era divertente. Visitare diverse città e paesi, trovare quei luoghi dove solo un gruppo selezionato di persone poteva partecipare… non potevi farne parte se non facevi parte di un altro gruppo elitario. Ma come viaggiatore, è sempre stato bello andare in quei posti, ascoltare buona musica e incontrare persone che vivevano secondo quelle influenze. È sempre stato interessante.
Esistono ancora dei locali gotici, ad esempio a Hollywood, dove vado spesso per incontrare amici, fare musica o comprare materiale musicale. Lì le cose vanno ancora bene, rispetto ad altri posti. Purtroppo Londra è ormai fuori gioco, mentre a Parigi so che ci sono un paio di eventi nelle catacombe. Quindi per me è molto più facile andare a Hollywood, dove c’è ancora vita. Ci sono locali che funzionano, dove il vecchio e il nuovo si incontrano. È la stessa cosa per i locali rock o metal, anche se ora non sento più di averne bisogno. Sono troppo maturo per quel tipo di cose. Forse ci dovrebbe essere un limite di età per andare in certi posti.
Grazie per questa riflessione. Ho un’ultima domanda. State pensando di riprogrammare una data per un concerto in Italia in futuro?
“Al momento non abbiamo niente in programma. La storia dei 69 Eyes con l’Italia è particolare. Sono stato tante volte a Roma, conosco molte persone lì, e negli anni ’90 abbiamo avuto la possibilità di venire a suonare in Italia per la prima volta. Poi abbiamo fatto uno show vicino a Milano, e basta. Abbiamo suonato pochissimo lì, e non mi piace, ovviamente, ma è andata così. Ho sempre cercato di organizzare qualcosa in questi 35 anni, ma la situazione non è mai cambiata. Mi sembra che tutto sia concentrato nel nord Italia. Forse ci sono dei festival, ma io faccio interviste con l’Italia almeno una volta all’anno, e non è cambiato nulla. Spero che, se ci sono persone che ci amano lì, possano essere disposte a viaggiare per vederci. Ma, sfortunatamente, non abbiamo in programma di suonare in Italia per ora”.