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In Prog we trust: Pain of Salvation e Kingcrow sul palco del Largo Venue

Un lunedì sera uggioso avvolge il Largo Venue, che è stato il teatro di un doppio spettacolo particolarmente riuscito, grazie all’incontro di due facce complementari del progressive metal: i romani Kingcrow e gli svedesi Pain of Salvation. La serata ha visto l’apertura da parte della band capitolina, un momento atteso dai fan locali che hanno potuto godere della loro evoluzione stilistica, sempre più orientata verso una raffinata miscela di prog-rock e metal sperimentale.

I Kingcrow, che possiamo ormai considerare storici rappresentanti del panorama nostrano, hanno saputo conquistare il pubblico con un set potente e ricco di sfumature. Le chitarre di Diego Cafolla e Ivan Nastasi hanno tessuto intricate trame sonore, sostenute dall’eleganza del batterista Thundra Cafolla e dal basso pulsante di Francesco D’Errico. Alla voce, Diego Marchesi ha offerto una performance emozionante e carica di pathos, spaziando con abilità tra momenti di pura aggressività e passaggi più melodici come da comprovata consuetudine. Il loro set ha incluso brani come ‘The Moth’ e ‘Father’, estratti dal loro acclamato album ‘The Persistence’, che hanno dimostrato la capacità della band di unire profondità compositiva e potenza esecutiva.

Ma la vera attesa della serata era tutta per i Pain of Salvation, una delle formazioni più amate e influenti del progressive metal internazionale. Guidati dall’inossidabile Daniel Gildenlöw, frontman e mastermind della band, gli svedesi sono tornati in Italia per un concerto che ha fatto letteralmente vibrare il Largo Venue. La formazione attuale vede Johan Hallgren alla chitarra, Gustaf Hielm al basso, Leo Margarit alla batteria e Daniel “D2” Karlsson alle tastiere, una line-up affiatata che ha dimostrato ancora una volta la propria capacità di innovare e sorprendere, pur rimanendo fedele alle radici della band, divincolandosi tra un’incredibile padronanza squisitamente tecnica dei propri strumenti e un’abilità innata di lavorare anche sulla coralità delle loro voci.

La scaletta della serata ha ripercorso alcune delle tappe fondamentali della carriera del gruppo, con un occhio di riguardo agli ultimi lavori. L’apertura del concerto è stata affidata a ‘Accelerator’, uno dei brani più potenti estratti dall’album ‘Panther’ del 2020. Con le sue atmosfere cupe e futuristiche, la canzone ha immediatamente creato un legame intenso con il pubblico, catapultandolo in un viaggio sonoro fatto di cambi di ritmo imprevedibili e melodie avvolgenti.

Non potevano mancare pezzi iconici come ‘Ashes’ e ‘Beyond the Pale’, due brani che hanno esaltato la straordinaria versatilità vocale di Gildenlöw. Durante ‘Ashes’, il pubblico ha cantato in coro, creando un’atmosfera quasi mistica, mentre le chitarre taglienti di Hallgren hanno reso ancora più potente l’esecuzione. In ‘Beyond the Pale’, la band ha mostrato il suo lato più emotivo, con un crescendo strumentale che ha portato a un climax travolgente.

Non sono mancati momenti piuttosto surreali, quando al buon Daniel si è rotta la tracolla di una sua chitarra e, da quanto si è potuto evincere, non ne aveva una di riserva! Questo lo costringe a suonare uno degli ultimi brani in scaletta accovacciato, peraltro abbassando il microfono per poter riuscire a cantare… E la cosa assurda è che l’efficacia dell’esecuzione non ne ha risentito minimamente, pur nella postura decisamente bizzarra in cui ha dovuto performare.

Un altro momento clou del concerto è stato l’esecuzione di ‘Restless Boy’, uno dei pezzi più apprezzati del loro repertorio recente, dove il groove industriale e le atmosfere elettroniche si fondono con la sensibilità prog della band. La batteria di Leo Margarit è stata la spina dorsale perfetta per questa traccia, con ritmi incalzanti e dinamici che hanno mantenuto alta la tensione emotiva.

L’encore finale, ovvero il dittico composto da ‘Falling’ e ‘The Perfect Element’, ha chiuso la serata con un’esplosione di energia e un crescendo di stratificazioni sonore. Il pubblico, visibilmente emozionato, ha continuato a chiamare la band a gran voce anche dopo il bis, forse sperando in un ulteriore bis (in effetti era partito in sottofondo l’intro di ‘The Passing Light of Day’) dimostrando il legame indissolubile che unisce i fan italiani ai Pain of Salvation.

Delizioso il siparietto conclusivo, con un papà che porta il figliolo sul palco insieme alla band, dopo aver attirato la loro attenzione con un cartello con la scritta “Ciao Daniel, ho dieci anni e sono al mio primo concerto. Posso fare una foto sul palco?”.

Tirando le somme, la serata del 23 settembre è stata una celebrazione della musica progressive in tutte le sue sfaccettature, con i Kingcrow che hanno saputo scaldare il pubblico con potente eleganza e i Pain of Salvation che hanno offerto una performance intensa e memorabile, confermandosi una delle band più innovative e rilevanti del panorama contemporaneo. Roma, ancora una volta, ha risposto con entusiasmo a questo incontro di talenti, dimostrando di essere ancora una piazza vitale per il prog internazionale.

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