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Il cuore di tenebra dei Black Heart Procession sul palco del Monk

Il concerto dei Black Heart Procession al Monk di Roma, per il quale era percepibile una spasmodica attesa, è stato un evento palesemente sentito sia dai fan della prima ora che dalla stessa band, che d’altronde con l’Italia – e in modo particolare con la Capitale – ha sempre avuto un feeling evidente. Il concerto di Pall Jenkins e compagni segna il ritorno sulle scene di una band amata e rispettata, dopo sette anni di silenzio pressoché totale a livello di attività live, che diventano quindici se parliamo della loro ultima uscita discografica. La serata, attesa con grande interesse dagli appassionati, ha soddisfatto le aspettative, offrendo un’esperienza sonora intensa e profondamente evocativa.

Sin dall’inizio del concerto, l’atmosfera al Monk è caratterizzata da un palpabile senso di anticipazione. Il pubblico, in equilibrio bilanciato ed eterogeneo di veterani processanti dal Cuore Nero e nuove leve che ne hanno fatto la conoscenza magari proprio in questi anni di assenza dalle scene, mostra un’attenzione quasi reverenziale durante tutta l’esibizione, con la tentazione di lasciarsi andare ad un canto dolce e tetro, come è l’essenza stessa della band californiana. I Black Heart Procession sanno ricompensare questa devozione con una performance che, pur nella sua sobrietà, rivela una maturità artistica notevole, riprendendo il discorso da dove la band di San Diego l’aveva interrotto, a cominciare dalla voglia di ritoccare lievemente gli arrangiamenti senza stravolgerne le strutture o le armonie, ma infondendo una natura “rock” appena più convenzionale, che forse toglie un pizzico della magia originale ad alcuni brani ma infonde un appeal più consono alla dimensione live, come in fondo è avvenuto dai tempi di ‘The Spell’ in poi.

Il ritorno della band è segnato da una setlist ben bilanciata, che mette vicino brani storici dei primi due album ad altri più dolenti e dilatati da ‘Amore Del Tropico’ e lo scurissimo ‘VI’, in un equilibrio che evidenzia sia la continuità che l’evoluzione del loro percorso musicale. Dopo un inizio in punta di dita ed in lento crescendo, la band stabilisce un legame emotivo forte con il pubblico, predisponendolo all’ascolto attento e partecipativo, esploso con quella confessione sentimentale incalzante che è ancora ‘It’s a Crime I Never Told You About the Diamonds in Your Eyes’, che rimane ancora oggi emblematica sin dal titolo.

Molto riuscite le riletture dei brani del loro esordio, tra una paludosa ‘Blue Water – Black Heart’ e la splendente disperazione di un cuore spezzato di ‘Release My Heart’, passando per la quasi ironica ‘Square Heart’ e una avvolgente e immortale ‘The Old Kind of Summer’, messa ad aprire i tre bis piazzati in coda.

In chiusura la distesa e languida psichedelia dimessa di ‘Borders’, con cui la band offre un assaggio di quella che forse sarà la nuova fase della loro carriera, caratterizzata da arrangiamenti raffinati e una cura particolare per le atmosfere, che comunque richiamano alla mente il loro tipico equilibrio tra malinconia e introspezione.

In conclusione, il concerto dei Black Heart Procession al Monk ha rappresentato un ritorno sulle scene in grande stile, caratterizzato da un’esecuzione impeccabile e da un’intensa carica emotiva, con una profondità che ha messo in luce la straordinaria capacità della band di connettersi con il pubblico in una dimensione sospesa. La voce di Pall Jenkins, a tratti sofferta e viscerale, ha rappresentato il fulcro emotivo dello spettacolo, sostenuta dalla solida sezione ritmica di Tobias Nathaniel e dalla versatilità musicale degli altri membri della band, la quale ha dimostrato di essere in ottima forma, capace di rinnovarsi senza perdere l’essenza che l’ha resa un’icona del genere. 

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