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Il concerto degli Zu e dei Deflore al Monk

Domenica 19 gennaio 2025, il Monk Club di Roma ha ospitato una serata all’insegna della sperimentazione musicale, con il concerto degli Zu, storica band italiana che non smette di stupire, e l’apertura affidata ai Deflore, altro progetto capitolino, attivo dalla fine degli anni ’90 e piuttosto apprezzato in giro. La serata, iniziata alle 19:00, rientra nella nuova politica del locale, che da qualche mese propone concerti tardo-pomeridiani durante il fine settimana. L’intento è chiaro: offrire un’esperienza musicale più accessibile, senza sacrificare la qualità. E la serata ha pienamente rispettato questa promessa, considerando la consueta grande affluenza di pubblico.

L’evento ha preso il via per l’appunto con i Deflore, band dal forte impatto industrial-metal, che ha saputo farsi notare per il suo approccio audace e multiforme. Il gruppo, composto da una line-up che unisce la santa Trinità del rock “chitarra, batteria e basso” con synth e pattern marziali, ha saputo mescolare sonorità intense, dal rock sperimentale al post-punk, passando per il noise e l’elettronica. La loro proposta ha immediatamente catturato l’attenzione di un pubblico curioso, attratto dalla loro energia primordiale e dalla capacità di costruire un sound che sembra fluire ininterrotto, tra parentesi di dissonanza e improvvisi scatti ritmici, in bilico tra i Ministry più oscuri e i Godflesh della maturità artistica, facendo riecheggiare nella mia testa addirittura i Treponem Pal, per chi li ricorda.

Già dalle prime battute, i Deflore hanno lasciato una sensazione di nervosa tensione che pervadeva l’intero ambiente, uno spazio che, pur nella sua intimità, sembrava pronto ad esplodere. La band ha giocato con i silenzi e i crescendo, creando un contrasto tra momenti di sospensione e fasi di tempesta sonora dove la batteria triturava con forza mentre le chitarre tagliavano l’aria come lame. La loro capacità di spingere verso l’imprevedibile ha generato una tensione che non faceva presagire nulla di banale: ogni accordo sembrava essere una sfida all’ascoltatore, un invito ad immergersi in un mare di incertezze ritmiche e melodiche. La performance, breve ma intensa, è stata quasi fisica, coinvolgendo l’audience non solo tramite il suono, ma anche attraverso la forza di un atteggiamento che sembrava trarre linfa dalla frenesia dei tempi moderni. Non sono mancati momenti di estasi collettiva, in cui la batteria e il basso prendevano vita di propria iniziativa, sovrastando tutto il resto in una danza vorticosa.

Quando i Deflore hanno finito il loro set, la sala era già carica di un’energia viscerale, ed è stato proprio quel tipo di tensione che gli Zu hanno saputo canalizzare ed esaltare. La band romana, conosciuta per la sua capacità di spingere i confini del jazz, del noise e dell’improvvisazione radicale, ha regalato al pubblico una performance da brividi. Alle 19:45, finalmente, gli Zu hanno preso il controllo del palco con la loro potenza sonora che ha immediatamente invaso ogni angolo del Monk.

Il loro set ha visto una fusione perfetta tra groove, frenesia e una spinta espressiva che non si è mai fermata. Come sempre, il trio ha saputo giocare con l’improvvisazione, ma con una maestria che non ha mai lasciato spazio all’incertezza. Ogni strumento, che sia la batteria martellante di Paolo Mongardi, il basso sonoro di Massimo Pupillo e il sax baritono di Luca Mai, hanno trovato la propria voce in un dialogo continuo che sembrava al contempo controllato e caotico, simile a un turbine che si sviluppa lentamente ma con una forza irresistibile. La loro musica non è mai statica: ogni passaggio, ogni cambio di tempo o di tono, sembrava un invito a esplorare nuovi territori. Non c’era spazio per la noia, né per l’attesa di un climax che arrivasse: gli Zu vivevano il loro concerto come un flusso, un’esperienza che era tanto fisica quanto mentale.

Il suono stratificato si faceva materia magmatica incendiaria, dalle costanti dinamiche urticanti: mentre il sax sibilava e sfiorava gli spettatori con linee sonore improvvise e vibranti, il basso si faceva sempre più denso, mettendo radici nella terra, mentre la batteria non faceva che potenziare l’effetto dell’urgenza. Il Monk Club, con il suo ambiente compatto e caldo, è stato il luogo ideale per una performance del genere: il suono si diffondeva con una potenza che sembrava percorrere le pareti, creando una connessione palpabile tra artisti e pubblico. Non c’era nulla di teatrale o preconfezionato nella performance: solo una musica che fluiva naturale, intensa e senza compromessi.

L’atmosfera complessiva della serata è stata una sorta di viaggio sonoro tra territori irraggiungibili, dove il jazz radicale si mescolava con l’elettronica e dove il noise, anche nei suoi momenti più abrasivi, sembrava voler rivelare un ordine nascosto. Gli Zu, come al solito, sono stati maestri nel guidare l’ascoltatore in questo universo parallelo, senza mai perdere la tensione né la propria essenza. Il pubblico, rapito da questa esperienza sonora, ha vissuto il concerto come un’esplorazione continua, seguendo la band in ogni piega, in ogni evoluzione del suono.

Quando il concerto degli Zu è giunto alla fine, la sensazione era quella di aver assistito ad una performance che non si è limitata a soddisfare le aspettative, ma che le ha superate, sfidando continuamente il concetto stesso di musica dal vivo. La serata si è conclusa come un viaggio, che ha lasciato tutti con la mente frastornata ma arricchita, consapevoli di aver vissuto un momento a suo modo unico.

Il Monk Club, con la sua programmazione innovativa e una proposta artistica sempre interessante, ha ancora una volta dimostrato di essere uno degli spazi più vitali e stimolanti di Roma, capace di offrire eventi che sanno come catturare e sorprendere il pubblico. La fusione tra gli Zu e i Deflore ha avuto il potere di aprire nuovi orizzonti e di confermare quanto la scena musicale romana, e non solo, continui a essere un fertile terreno di sperimentazione e crescita.

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