Testo: Fabio Babini
Foto: CFFC Roma
Sabato 12 aprile, il Wishlist Club di Roma ha vissuto un’epifania elettrica. Il locale di via dei Volsci, ormai baluardo delle sonorità più irrequiete, ha fatto registrare il tutto esaurito grazie al concerto dei DITZ, gruppo noise-post-punk di Brighton che ha scelto la Capitale per chiudere la sua devastante tournée europea. L’evento, curato in collaborazione con Radio Rock, ha rappresentato il culmine di settimane in cui l’attesa si è gonfiata come una febbre, e il risultato è stato un rituale collettivo di sudore, urla e catarsi distorta.
Ad aprire la serata i Jennifer in Paradise, giovane band capitolina alle prese con un mix avvincente di shoegaze, post-punk ed emocore nel senso migliore del termine, tra Boysetsfire, Sunny Day Real Estate e reminiscenze di casa Dischord in stile Shudder To Think. Ma anche qualcosa dei nostrani Fast Animals and Slow Kids. Qualche lieve ingenuità, mai i brani sono ben centrati e anche l’attitudine è quella giusta.
“We’re DITZ from Brighton!” è invece lo stringato biglietto da visita degli albionici, e da subito è stata palpabile la curiosità nel voler ascoltare in sede live i brani di ‘Never Exhale’, secondo lavoro in studio pubblicato da poco, un disco che non cerca compromessi e affonda i denti in un suono sporco, scomposto e inquieto. L’eredità di mostri sacri come The Fall, Sonic Youth e Jesus Lizard si mescola in una centrifuga sonora che esplode dal vivo con una furia imprevedibile. Eppure, i DITZ non si limitano a rendere omaggio alle loro radici: si muovono con spavalderia nel territorio aperto da band contemporanee come gli Idles o i Gilla Band, con cui – non a caso – hanno condiviso il palco al Lars Rock Fest lo scorso luglio.
Sin dai primi secondi, l’atmosfera del Wishlist si è trasformata. Il pubblico, fitto come un campo minato, ha accolto la band con un boato viscerale, mentre i suoni aspri e distorti iniziavano a stratificarsi tra riverberi impazziti e bassi tellurici. Ma è stato Cal Francis, voce e spirito irrequieto del gruppo, a rubare la scena. L’artista inglese, fedele al suo stile eclettico, si è presentato in abiti femminili, incarnando un’androgina carica espressiva che travalica i codici di genere e sovverte le aspettative. Come una scheggia impazzita, ha iniziato a contorcersi, arrampicarsi dovunque avesse un appiglio, e lanciarsi in mezzo al pubblico con il microfono sguainato come una sciabola, in un balletto furioso di provocazione e abbandono.
Francis non canta, ulula, accusa, prega, vomita parole. Il suo corpo diventa veicolo di una tensione collettiva che il pubblico trasforma in urla e pogo. Le sue movenze sembrano più figlie del teatro fisico alla Jerzy Grotowski che del rock tradizionale, eppure sono profondamente radicate nella grammatica del punk più viscerale. Ogni sua discesa nella folla è un atto d’amore brutale: cade, si rialza, si getta di nuovo, mentre intorno il pubblico vibra come un organismo unico.
Brani come ‘God on a Speed Dial’, ‘The Body as a Structure’ e ‘Summer of the Shark’ (già cavallo di battaglia della band, ora riformulato in chiave ancora più abrasiva) si sono susseguiti senza pause, generando una corrente elettrica che ha travolto tutti. Non c’è spazio per la distrazione in un live dei DITZ: o ti lasci trasportare dal caos o rimani indietro. La sezione ritmica – chirurgica e animalesca – incalza senza tregua, mentre le chitarre costruiscono paesaggi dissonanti e fratturati.
Sul finire del set, la tensione non si scioglie, ma si condensa in una specie di climax collettivo. Il pubblico, ormai in trance, risponde ad ogni sollecitazione della band come parte integrante dello spettacolo. Nessuna barriera, nessuna distanza tra palco e sala: solo un magma pulsante in cui musica, sudore e presenza si fondono.
Quando le luci si sono riaccese, molti sono rimasti fermi, come se il ritorno alla realtà fosse troppo improvviso. La serata non è stata solo un concerto, ma un’esperienza quasi tribale, un rito di passaggio dove il rumore diventa linguaggio, e il corpo – tanto quello di chi suona quanto quello di chi ascolta – si fa strumento.
Chi c’era, difficilmente lo dimenticherà. I DITZ non si limitano a suonare: travolgono, scuotono, trasformano, dimostrando di essere più vivi che mai, e la data romana ha sigillato il loro tour con un’esplosione emotiva che ha lasciato il segno. Roma, ancora una volta, ha accolto il caos – e l’ha amato.