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David Gilmour alla Royal Albert Hall

La visione è quella sognata per tanti e tanti anni, si arriva davanti ad un tempio, entrando quasi in punta di piedi si percepisce arte in ogni angolo, Royal Albert Hall fa quasi paura dirlo ad alta voce, ma siamo lì, pronti a restare travolti dalle sue note. Sei serate sold out, mi sento quasi miracolato per essere uno dei cinquemila presenti questa sera.
Velluti rossi, pubblico dagli sguardi meravigliati ed enorme sfera a specchi fissata sul soffitto che tutto fa pensare all’atmosfera dei vecchi Pink Floyd. Per la prima data Londinese per quello che è stato un po’ il ritorno a casa sua,  in un momento si spengono le luci e passa qualche secondo perché il pubblico si renda conto che Sir David Gilmour è sul palco, orgoglioso e modesto nella sua maglietta e jeans neri.
Si parte con “Black Cat”, una traccia strumentale del nuovo album in onore alla sua nuova compagna di avventure “the black cat Strat” la chitarra che ha sostituito la sua leggendaria Fender,        David c’è le sue mani parlano chiaro. Nella traccia del titolo di “Luck and Strange”, canta con toni teneri e rochi mentre il batterista Adam Betts scolpisce groove profondi, l’amico Guy Pratt sorride e lui ricambia, la sua alchimia con i musicisti è meravigliosa da vedere. La band prosegue in modo armonico dal suo superbo nuovo chitarrista Ben Worsley, a Betts e al leggendario tastierista Greg Phillinganes. Sorrisi orgogliosi e abbracci vanno alla figlia più piccola, Romany, la sua “Between Two Points” risuona limpida come le note della sua arpa accompagnate dal coro che impreziosisce ogni sua canzone, Louise Marshall insieme alle sorelle Hattie e Charley Webb, l’atmosfera è da brividi quando insieme intonano “The Great Gia in the Sky”. Gilmour tratta la sua band come una famiglia, non più di quando si riuniscono attorno al pianoforte per una versione a lume di candela di “A Boat Lies Waiting”, la musica diventa quasi intima e siamo coinvolti quasi a livello sentimentale.
Si vola con le canzoni dell’immortale “The Dark side of the moon” Breathe e Time eseguite come se 50 anni non fossero mai passati.
I 30 minuti di pausa sono necessari per smaltire la miriade di emozioni provate, ma non c’è tempo perché si va dritti verso il gran finale.
Vedere Gilmour dal vivo significa assistere in prima persona a chi ha fatto la storia del Rock negli ultimi 60 anni, alla sua abilità di narratore senza parole. Con la sua chitarra, intreccia capolavori nei suoi assoli, guidando il pubblico attraverso misteriose galassie e altezze celestiali. Ho avuto la fortuna di entrare in punta di piedi in questo tempio e di uscire volando, quando inizia l’assolo di “Confortably numb” laser, luci e tutto ciò che ci circonda inizia a illuminarsi trasportandoci nelle atmosfere psichedeliche dei migliori Pink Floyd. Quell’uomo di 78 anni ancora scolpisce ogni nota come se fossero blocchi di marmo e da questo non può che uscirne un’opera d’arte che resterà immortale. Si esce da lì distrutti dalle emozioni con gli occhi lucidi perché 3 ore di concerto non sono mai abbastanza quando hai di fronte una “Fucking Rock Legend” come David Gilmour.
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