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Marco Ongaro: “007 per amore”

Cantautore, artista eclettico e multidisciplinare in grado di spaziare dalla musica al teatro, abbiamo incontrato Marco Ongaro, per parlare del suo nuovo singolo: “La spia che ti amava” e curiosare tra le trame della sua arte. Indagare insieme a lui “sul perché dell’amore” e sulle sue molteplici dinamiche.

– Marco Ongaro, cantautore, scrittore, poeta. In uscita con il singolo “La spia che ti amava”, che anticipa l’album omonimo previsto per febbraio 2024. Parliamo di questa nuova release. Possiamo definirla un’indagine sull’amore in chiave ironica?

Diciamo che l’amore ha bisogno anche di leggerezza, soprattutto di sdrammatizzazione. L’ironia è lo strumento ideale per ridimensionare l’eccessiva gravità riferita a questa dinamica che pervade la vita diventandone spesso il gioco principale. Il ricorso alla metafora spionistica per alludere alle “innocenti” abitudini di spiarsi reciprocamente il cellulare, all’ansia di cui presto ci si pente di sapere qualcosa di segreto sull’individuo amato, rende immediatamente efficace lo straniamento dalla questione. In James Bond tutti si crede ma nessuno si identifica veramente. Nelle sue avventure tutto è estremo. Il calembour su un suo famoso titolo fornisce la distanza sufficiente a trattare il tema senza dargli troppa importanza. Ma tutti siamo un po’ spie quando decidiamo di penetrare la cortina di mistero che infine all’amore è proprio necessaria. Quando si viola la privatezza cedendo alla curiosità, talvolta morbosa, nei riguardi dell’altrui intimità si diventa piccoli agenti segreti destinati a scontrarsi con la misera realtà di informazioni limitate e fraintendibili. L’amore è già altrove, non certo nelle pieghe forgiate dalle password dei dispositivi che usiamo per comunicarlo, tenerlo vivo, celarlo gelosamente.

– Ed in tal senso che rapporto ha lei con l’amore? Perché è così importante esplorarne le dinamiche?

Perché muove davvero il mondo, nel bene come nel male. L’amore è fatto di desiderio e attaccamento, di ricerca e fuga, di scoperta e travisamento. Per amore si attraversano frontiere, si costruiscono e distruggono carriere, paradossalmente si fanno guerre. Eros è un dio tiranno, come ci ricordano i nostri avi, da Saffo a Platone. È la moderna incarnazione della Necessità. Ci pare un divertimento e spesso ne è anche pervaso, ma bisogna diffidare della sua apparente levità. La cronaca ce lo ricorda purtroppo. Il desiderio e la paura, la realizzazione e la ricerca, tutto è riconducibile all’amore, dentro e fuori dai suoi cliché. Non è mica solo rose e cioccolatini, non è solo un elenco di frasi rimaste appiccicate alla nostra epoca dallo spaventoso e sublime movimento romantico. È il sistema che governa i nostri gusti e le nostre inclinazioni fin dai primi respiri, è il soffio della vita che riscalda e la cui assenza congela. Cos’altro resta a un artista da esplorare?

– Musicalmente, la sua cifra stilistica sembra essere una fine poetica che suona rock. Lei come si considera: più un poeta o più un rocker?

Davvero l’uno non esclude l’altro. Il poeta è un creatore, il rock è un linguaggio, uno dei tanti. Mi piace creare in rock, anche se non rock impenetrabile: ci sono pure melodia e morbidezza nella musica che grazie a Le cifre, la mia attuale band, veste i versi delle canzoni. Il tocco femminile dei cori, la solida costituzione del classico trio elettrico, lo stesso tocco della mia voce tutt’altro che ruvida ben armonizzano questo cosiddetto rock alla poesia. Il rock è un modo di concepire l’energia musicale, fatto di decisioni semplici che nascondono complessità danzanti. Permette passaggi armonici osé per altri linguaggi musicali, forzature che immaginano improvvise dolcezze. Mi piace modulare i sentimenti su questa apparente immediatezza. Ma è anche violazione delle regole, miscela di generi. Il rock non è mai manicheo, permette mille sfumature. Aiuta a battere il tempo che, onestamente, va battuto una volta per tutte.

– Oltre ciò, lei ha tanti anni di esperienza e tanti album all’attivo. Qual è stata la sua evoluzione dagli albori ad oggi?

Ho cominciato un po’ con il rock dal vivo, ma poi il mondo della canzone italiana mi ha coinvolto con le sue derive esotiche, tra rive gauche e swing. La necessità di entrare nel mondo discografico mi ha portato a fare musica dance nei primi anni Ottanta per poi riportarmi nell’ambito italiano premiato da una Targa Tenco per l’Opera Prima, nel 1987. Da lì, il punto di discrimine senza ritorno: solo canzone d’autore, ispirata a classici come Piero Ciampi o ai grandi cantautori che nei Settanta erano anagraficamente arrivati prima di me, poi il discorso si è fatto sempre più personale, lasciando che Dylan e Paolo Conte si mescolassero a Tom Waits e Jacques Brel senza pregiudizi. Pop con “Sono bello dentro”. Rock con “Certi sogni non si avverano”. Di nuovo rock con “Dio è altrove” e “Esplosioni nucleari a Los Alamos”, dixieland con “Anni ruggenti”, dark jazz in “Archivio Postumia”, dallo swing al klezmer in “Canzoni per adulti”, pura chitarra e voce, o piano e voce, in “Voce”. Di nuovo rock ne “Il fantasma baciatore”, pop-rock in “Solitari”. Adesso un disco che è la summa di ciò che l’ha preceduto a livello tematico e poetico, musicalmente essenziale ma energetico. Avverto “La spia che ti amava” come un punto di arrivo, non di transizione.

– E considerando tutto questo, che bilancio può fare della sua carriera?

Un viaggio tra musica e poesia, dove la musica ha cercato vari vestiti per accompagnare versi sempre più chiaramente delineati, densi, stratificati eppure ben fruibili in superficie. A prescindere dai premi ricevuti e dagli intoppi, dall’entusiasmo e dalle difficoltà, vedere il raggio luminoso emanare da sé ogni volta nuovo, uguale, intatto e luccicante. Il bilancio di una creazione ininterrotta, anche se di tanto in tanto sospesa, è quello di un discorso che continua diventando sempre più preciso, sicuro, affermato in sé. Ogni album è stato una tappa utile al successivo, un sentiero più che una scalinata.

– La sua scrittura rivela tratti di modernità in un contesto musicale che potremmo definire “cantautorale classico”. Qual è il suo segreto per restare giovane, intellettualmente e musicalmente?

Studio continuamente, ogni giorno, in tutto ciò che faccio. Quando leggo, ascolto, incontro persone, amo, ragiono. Tutto è studio. Considero di non sapere mai abbastanza. Non so nulla, lo zero virgola un percento di quanto vorrei sapere per ricombinarlo in creazioni che vadano avanti verso lo zero virgola due percento di quello che nel frattempo ho dimenticato. È la vita, bellissima in questo, un recupero impossibile del tutto perduto, una conquista continua di quello che c’è ancora davanti. Non mi pongo il problema di essere vecchio o giovane, sono in movimento ancora e ancora, c’è tanto ancora da sapere.

– E guardando al futuro… Quali progetti bollono in pentola?

Vorrei fare una bella tournée di concerti con Le Cifre. Poi sicuramente un nuovo album, chissà in quale forma.

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