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La verità arriva all’improvviso

Viaggiare attraverso i libri

Andiamo a Roma

La verità arriva all’improvviso di Paolo Vanacore l’ho letto tutto d’uno fiato. Difficile non commuoversi con un libro così. Io mi sono commossa, sono arrivata a un racconto e poi a un altro ancora e alla fine calde lacrime hanno iniziato a scendere.

In questo libro c’è Roma, una Roma lontana dal centro. Una Roma che la puoi solo intravedere dai racconti delle donne protagoniste. Perché sì, il libro è composto da dieci racconti di donne romane.

Sono racconti in prima persona. Finalmente le donne non sono solo raccontate da altri, qui le donne parlano, raccontano e soprattutto si raccontano.

Leggi i racconti e ti sembra di essere lì con loro: con un linguaggio asciutto e vero, senza fronzoli ma non banale, le dieci donne fanno entrare il lettore nel loro mondo.

Le dieci donne sono mogli, madri, figlie, bambine, ragazze. Raccontano squarci della loro esistenza, raccontano i fatti crudi, così come sono. Donne e ragazze che piangono, si disperano, amano.

Esistenze fatte di violenza, spaccio, droga, povertà, sacrifici, ma talvolta anche di rinascita, amore o ricerca di amore. Esistenze che ruotano attorno alla periferia romana degli anni Ottanta, quella dei palazzoni e del cemento. Quella periferia dura, difficile.

Eppure molte di queste donne, che non escono mai dal quartiere o che lo lasciano solo per andare a lavorare, riescono ad andare avanti. Resistono, certo si disperano, toccano il fondo, ma alla fine in qualche modo trovano la forza per risalire su.

Io questo ho trovato nel libro: donne che soccombono ma che poi riemergono.

In questi racconti c’è la VITA raccontata così com’è. Una vita in cui c’è da rimboccarsi le maniche, una vita che non regala nulla ma che a volte può offrire delle seconde possibilità.

E quasi non è più una raccolta di racconti, il libro diventa come un’unica grande storia fatta di tante storie.

Io me le immagino queste donne: me le immagino sull’autobus, me le immagino prigioniere di matrimoni senza amore oppure prigioniere dell’ignoranza. Me le immagino che parlano tra loro, me le immagino le sere d’estate fuori dai palazzi con le loro sedie e i loro dolori o le loro speranze.

Me le immagino perché forse la vita di periferia è un po’ tutta così, o forse perché il libro è stato capace di far emergere ricordi lontani.

Mi sembra di sentire il caldo delle sere d’estate e loro lì nella periferia odiata e amata, quella periferia che è prigione ma, per alcune, anche rifugio.

Un libro che arriva dritto al cuore, e a quello di chi, come me, la periferia la conosce molto bene ci arriva un po’ di più.

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