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Spare: il minore

Un libro che sta facendo discutere, un record di vendite.

Premetto che mi è piaciuto, molto, ma questo è irrilevante: i gusti sono gusti.

Mi sento, però, di affermare che è un bel libro. Scritto bene: una scrittura scorrevole, un racconto schietto, diretto, senza fronzoli ma che colpisce, in alcuni punti anche ironico. Del resto il ghostwriter è il premio Pulitzer J. R. Moehringer.

Spare” non racconta meri pettegolezzi di corte, se lo comprate solo per questo non fatelo; se lo comprate per sapere la verità assoluta desistete: qui la verità è solo quella di Harry.

Se lo comprate per conoscere, senza pregiudizi, una storia, quella di un bambino, un ragazzo, un adulto che si è sentito da sempre (e di fatto lo è) “il minore”, la “riserva”, la “ruota di scorta”, allora ve lo consiglio.

Harry racconta in maniera onesta, almeno secondo me, la sua vita. La racconta divisa in tre momenti, e in tre momenti è infatti diviso il libro: l’infanzia e la giovinezza, il periodo del lavoro nell’esercito, la vita con Meghan e la decisione di lasciare la Gran Bretagna.

Il racconto dell’infanzia e della giovinezza è a tratti divertente a tratti doloroso, drammatico.

I ricordi dell’infanzia sono a volte confusi, lui stesso ammette di non ricordare molte cose.

L’ultima parte, invece, è quella in cui il ritmo diventa più incalzante, così come più incalzanti sono gli eventi. Ma è anche la parte che mi ha fatto più commuovere e arrabbiare.

Harry racconta di sé stesso e del rapporto che lo lega alla sua famiglia alla quale vuole molto bene, nonostante tutto. Si capisce che vuole bene alla nonna, al fratello, al padre. Certo racconta anche qualche aneddoto imbarazzante che forse poteva o doveva tacere.

In tutto il racconto c’è, però, sempre qualcosa che incombe ed è la stampa: Harry svela il suo rapporto difficile con la stampa, con i tabloid. Da sempre e soprattutto dal suo incontro con Meghan. Si sente braccato, in trappola, deriso, offeso e assolutamente non capito dalla famiglia. Questo per me è il filo che lega tutto il libro e tutta la sua vita.

Harry racconta in maniera sincera le sue reazioni, le sue emozioni, le sue paure, le sue decisioni.

Harry si racconta e si fa domande. Ha reazioni esagerate? Si autocommisera?

Non sta a me, non sta a noi giudicarlo.

Quello che ho capito io, leggendo tra le righe, ma neanche tanto visto che lo dice lui stesso, è che si è sempre sentito come in una gabbia, dorata certo, ma pur sempre una gabbia. Questo non vuol dire non essere consapevole dei privilegi. Non vuol dire non rispettare la monarchia e quindi la sua famiglia. Lui ama il suo Paese e la sua famiglia. Ma è anche consapevole della sua paura, del trauma della morte della madre: non vuole che la tragedia si ripeta.

Quando la stampa si scaglia contro di lui, ma soprattutto contro Meghan, quello che Harry chiede alla sua famiglia è di essere difeso, di essere protetto.

Non tutti sono in grado di reagire con forza agli eventi, non tutti sanno essere razionali allo stesso modo.

Il ritratto che, secondo me, viene fuori dal libro può sembrare quello di una persona fragile, ma lui alla fine ha scelto consapevolmente: ha scelto di proteggere sua moglie e i suoi figli. Forse è qui la chiave di tutto: ancora una volta l’amore vince sul dolore e su tutto il resto.

Certo Harry ha potuto fare quello che ha fatto perché è il secondo, è la “riserva”. Ma poteva scegliere di non farlo. E allora la “riserva”, per me, ha vinto.

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