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I Cult of Fire al Largo Venue di Roma

Testo di: Fabio Babini
Foto di : Tommaso Notarangelo

La serata di ieri ha visto il Largo Venue ospitare una delle serate più intense e spiritualmente coinvolgenti del panorama metal. I Cult of Fire, la band ceca conosciuta per il suo approccio unico al black metal, hanno regalato ai presenti un’esperienza sonora e visiva senza pari, che ha saputo trascendere i confini tradizionali del genere per immergersi in un mondo di riti e simbolismi orientali.

Ad aprire le danze sacre e sacrileghe, prima i Caronte, ormai un nome a cui siamo piacevolmente abituati sui palchi della Capitale, per poi lasciare il posto sul palco ai The Great Old Ones, gruppo francese autore di un avvolgente post-black metal che ha creato la giusta atmosfera, in attesa dell’esplosione trascendente degli headliner della serata.

Conosciuti per la loro fusione di oscurità e spiritualità, i Cult of Fire non si limitano a trattare le tematiche consuete del black metal, come il satanismo o l’occultismo, ma si spingono ben oltre, esplorando l’universo mistico dell’Oriente. La band, infatti, ha dedicato il proprio sound e le proprie liriche ai testi e ai rituali dell’India antica, traendone ispirazione da tradizioni millenarie come il Vedanta, il Brahmanesimo e il Buddismo.

La scenografia del concerto è stata una vera e propria immersione in questa dimensione mistica, con elementi visivi straordinariamente curati. Le maschere rituali che i membri della band indossano durante le performance non sono solo oggetti di scena, ma veri e propri strumenti di evocazione, simbolizzando divinità e entità spirituali appartenenti alla tradizione indiana. Le maschere, insieme alle luci e ai dettagli scenografici, hanno creato un’atmosfera mistica e coinvolgente, quasi sacra, che ha reso il concerto un’esperienza viscerale e indimenticabile.

Dal punto di vista musicale, i Cult of Fire hanno continuato a plasmare il proprio marchio di black metal attraverso riff serrati e atmosfere caotiche, ma al contempo imbevute di una sacralità che non si trova facilmente nel panorama metal. Le loro composizioni sono un continuo intreccio di violenza sonora e richiami alla meditazione, alternando momenti di pura tempesta sonora a pause più calme e ipnotiche, simili a riti di purificazione spirituale. Non è un caso che il loro sound, come quello dei Batushka con la loro iconografia cristiana ortodossa, sembri costruito per celebrare il divino attraverso il caos, fondendo tradizioni religiose con il linguaggio musicale del black metal.

La tematica del fuoco è centrale nel repertorio della band praghese, un elemento che rimanda direttamente a figure sacre della tradizione indiana. In particolare, la divinità Aggi, il “Dio del Fuoco” nel pantheon buddista, appare come un simbolo di distruzione e rinascita, un concetto che si riflette nella loro musica. Il fuoco, come metafora, rappresenta la purificazione attraverso la sofferenza e il rinnovamento spirituale, una costante nel percorso musicale di  e dei suoi accoliti.

Nonostante la forte carica simbolica che permea il loro sound, i Cult of Fire non dimenticano mai la potenza e l’intensità del metal estremo. Ogni brano è un viaggio che parte dalle tenebre per ascendere verso la luce, mantenendo sempre una tensione palpabile tra il caos e la serenità. È un black metal che, pur restando fedele alla sua natura più oscura, si apre a nuove possibilità sonore e tematiche, sfidando le convenzioni del genere.

Il pubblico romano ha risposto presente in numero più che dignitoso, considerando anche il lunedì sera, ma soprattutto con curiosità e immancabile entusiasmo, partecipando a questo rito sonoro che ha visto questi asceti ceki vogliosi di portare in giro il loro ultimo intenso lavoro, ‘The One, Who Is Made of Smoke’, emblematico sin dal titolo. Ogni brano ha rappresentato un’opportunità per immergersi in una dimensione altra, in cui la potenza della musica e il simbolismo religioso si fondono in un’esperienza unica e trasformativa.

In conclusione, il concerto dei Cult of Fire al Largo Venue è stato un’affermazione del loro talento nel saper mescolare il black metal con le tradizioni spirituali induiste, portando il pubblico in un viaggio che ha toccato le corde più profonde dell’anima. Una serata che, senza dubbio, rimarrà impressa nella memoria degli appassionati, come un incontro tra oscurità e luce, tra il fuoco distruttore e la rinascita spirituale.

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