Testo: Fabio Babini
Foto: Sara Serra
La sera del 14 marzo 2025, all‘ Auditorium Parco della Musica di Roma, la sala Sinopoli ha accolto uno degli ultimi concerti più attesi e emozionanti della carriera di Rick Wakeman, uno dei più grandi tastieristi della storia del rock. Questo concerto, infatti, è stato l’ultimo live che Wakeman ha tenuto per solo piano, una scelta che ha suscitato una serie di riflessioni sul suo percorso artistico e sul suo impegno musicale.
Un inizio solenne, ma anche un accenno di malinconia.
Il concerto si è aperto con una scelta già evocativa: “Catherine of Aragon” e “Catherine Howard”. Questi brani, tratti dal suo album The Six Wives of Henry VIII, un’opera che ha segnato l’apice della sua carriera solista negli anni ’70, hanno immediatamente immerso il pubblico in un’atmosfera di grande intensità emotiva. La capacità di Wakeman di trasmettere la potenza della musica attraverso il solo pianoforte è stata indiscutibile, ogni nota sembrava raccontare una storia, ma al tempo stesso, c’era qualcosa di lieve che accennava a una certa rassegnazione. È come se, a tratti, l’interpretazione di Wakeman fosse più una riflessione sulla sua lunga carriera che una semplice esecuzione tecnica. La scelta di eseguire brani così iconici dimostrava il suo amore per il passato, ma anche una certa nostalgia.
Brani in punta di dita e la dedizione di un artista.
Un altro momento di grande impatto emotivo è stato l’esecuzione di “Morning Has Broken”, il celebre brano di Cat Stevens, che ha visto Wakeman avvolgere il pubblico con il suo tocco morbido e sognante. Il pianoforte ha disegnato linee melodiche delicate che si sono fuse perfettamente con l’atmosfera intima della sala, ma questo brano, come altri nella scaletta, ha portato con sé una sensazione di “tranquillità” che, purtroppo, non ha saputo immergere del tutto il pubblico nel fervore di un live che ci si sarebbe aspettati più audace e coinvolgente. I tasti d’avorio dell’ex Strawbs, con il suo timbro inconfondibile, ha saputo suscitare emozioni, ma anche trasmettere un senso di quiete che, a tratti, poteva sembrare quasi una sorta di “pianissimo” sulla sua carriera ormai consolidata.
Con “Space Oddity” e “Life on Mars?”, il pubblico ha potuto assaporare una versione “neoclassica” di due evergreen di Bowie, interpretati altresì con grande rispetto e devozione. Il pianoforte ha dato vita a una versione raffinata e intima del brano, ma purtroppo, in alcuni momenti, questa versione “solo piano” ha mostrato la difficoltà di riprodurre l’epicità dell’originale, tanto più che il suono del pianoforte da solo non è riuscito a colmare l’assenza delle orchestrazioni complesse che avevano reso celebre la versione originale. Non mancano altresì, nel corso del live, una simpatica (e forse un po’ kitsch ma divertente a suo modo) rivisitazione di due ultraaclassici Beatlesiani quali ‘Help!’ quasi barocca e nientemeno che una versione sullo stile di Prokofiev di ‘Eleanor Rigby’.
L’immensità di Yes, ma qualcosa sfugge dal pentagramma.
“Wonderous Stories” e “And You and I” degli Yes hanno indubbiamente aggiunto una dose di nostalgia per i fan del prog-rock. Le composizioni in questione, uscite originariamente sui vinili d’epoca degli Yes, sono pezzi monumentali della musica rock, ma l’esecuzione per solo piano, sebbene tecnicamente impeccabile, ha rivelato alcuni limiti nell’adattamento delle complessità orchestrali al solo strumento. La maestria del musicista era evidente, ma in alcuni passaggi, la sua interpretazione sembrava più un doveroso tributo che una rielaborazione vivace. Non c’è dubbio che l’abilità tecnica di Wakeman rimanga intatta, ma c’era la sensazione che questi brani, purtroppo, non avessero più lo stesso impatto che avevano negli anni ’70.
Decisamente consona, invece, la scelta di reinterpretare ‘The Meeting’ in chiave pianistica, un brano dove, in origine, la linea vocale di Jon Anderson prendeva il sopravvento con austera delicatezza, ma che ben si presta a questa rilettura che quasi la trasforma in una nenia da carillon su cui il buon Rick abbandona le sue dita a briglia sciolta.
Qualcuno dagli spalti urla ‘Close to the Edge!” e lo stesso tastierista si mette a scherzare su questa ambiziosa richiesta…
Colonne sonore? Un’assenza che si fa sentire.
Un aspetto che ha suscitato qualche perplessità è stata l’assenza di brani provenienti dalle colonne sonore che hanno segnato la carriera di Wakeman, come Lisztomania di Ken Russell o qualche tema tratto da The Burning, il film slasher degli anni ’80. Il pubblico, che si attendeva un programma che celebrasse anche quest’altro lato della sua carriera, ha trovato la scaletta forse troppo conservativa. Mentre il tributo ai suoi lavori più noti era comprensibile, l’assenza di brani tratti da queste opere più cinematografiche ha lasciato un vuoto difficile da ignorare. Si sarebbe potuto sperimentare con qualcosa di più audace, un’ulteriore dimostrazione del suo genio che, a tratti, sembra mancare in questo live dal taglio un po’ nostalgico.
L’emozione di un ‘ultimo concerto’.
L’esecuzione di “Arthur / Guinevere / The Last Battle / Merlin the Magician” è stata un altro momento di grande raffinatezza. La sequenza di brani, tratti dal suo lavoro The Myths and Legends of King Arthur and the Knights of the Round Table, ha creato un paesaggio sonoro suggestivo, ma come in altri frangenti del concerto, la ripetitività di certe scelte ha creato una sensazione di staticità. Nonostante il perfetto controllo tecnico del pianoforte, c’era una sorta di immobilità emozionale che non riusciva a spingere il concerto oltre un livello di mera esecuzione.
Il concerto ha visto la sua conclusione con ‘Excerpts from Journey to the Centre of the Earth’, un brano che ha fatto tornare alla mente le straordinarie esperimentazioni di Wakeman negli anni ’70. Qui, ancora una volta, l’abilità pianistica di Wakeman ha brillato, ma anche in questo caso, l’intensità di una performance che avrebbe dovuto essere trionfale sembrava più dimessa. L’ultimo brano, ‘The Jig’, in un certo senso ha sottolineato questa conclusione: breve, incisivo, ma senza la capacità di lasciare un’impronta indelebile.
In the end…
L’ultimo concerto di Rick Wakeman per solo piano è stato un momento emotivo, ma che ha messo in evidenza anche una certa stanchezza e una predilezione per una scaletta un po’ troppo scontata. L’intensità musicale che aveva contraddistinto i suoi anni migliori è ancora presente nella sua tecnica, ma l’energia esplosiva che aveva caratterizzato il suo approccio nei decenni precedenti sembrava ormai appartenere a un’altra epoca. Il pubblico, pur apprezzando la dedizione e l’impegno, si è trovato davanti a un live che, pur impeccabile nell’esecuzione, non è riuscito a scatenare il medesimo entusiasmo di un tempo. L’addio di Wakeman al solo piano è, forse, un’eco di una carriera che non smetterà mai di emozionare, ma che inevitabilmente sta volgendo verso una conclusione più tranquilla, forse più serena, ma anche inevitabilmente più “senile” in alcuni momenti.