Il concerto di Mark Kozelek al Monk di Roma ha rappresentato una tappa fondamentale del tour europeo del suo progetto Sun Kil Moon. Il musicista, che da sempre riesce a far confluire la potenza emotiva della sua musica con una certa audacia narrativa, ha portato sul palco una performance che ha diviso il pubblico, ma che ha anche mostrato in pieno la sua personalità unica. Una serata lunga, intensa, e a tratti surreale, che ha messo in evidenza il suo approccio sempre più intimo, autoironico e anche spiazzante.
Un Set Lunghissimo: Tre Ore di Concerto
Il concerto ha avuto una durata sorprendente, sfiorando le tre ore, un vero e proprio tour de force che ha visto Kozelek, armato solo della sua chitarra classica, della sua voce profonda e della sua proverbiale favella, impegnato a intrecciare canzoni e monologhi in un fluire che sembrava privo di una vera e propria struttura prestabilita. Questo approccio ha dato vita a una performance tanto unica quanto controversa.
Fin dai primi minuti, l’artista dell’Ohio ha messo in chiaro che lo spettacolo non si sarebbe limitato a una semplice successione di brani dal suo ampio repertorio che, ahimè come al solito, non prende in considerazione per nulla i suoi anni d’oro coi Red House Painters. La sua chitarra classica, uno strumento ormai simbolo del suo suono, si è mescolata con la sua timbrica peculiare e narrante, dando vita a una lunga serie di canzoni tratte dai suoi lavori a nome Sun Kil Moon, dai suoi ultimi e sorvolabili album a quelli acclamati come Benji (2014) e Ghosts of the Great Highway (2003).
Liriche e Monologhi: Un Contrasto Irreale
Tuttavia, l’elemento che ha definito questo concerto non sono state tanto le canzoni, quanto i lunghi monologhi che Kozelek ha intrattenuto con il pubblico. L’artista, noto per la sua spiccata ironia e per il suo umorismo pungente, ha alternato momenti di autentico talento musicale a improvvisazioni verbali che hanno spiazzato e, in piccola parte, anche irritato. Le lunghe pause tra un brano e l’altro si sono trasformate in occasioni per raccontare storie, episodi di vita quotidiana, pensieri in libera uscita e considerazioni che hanno spaziato dalla sua carriera musicale alle sue esperienze personali. Senz’altro toccanti i suoi ricordi su Elliot Smith, che lo volle con lui ad aprire le sue date in un tour svedese, nel quale suonarono tra l’altro anche i Flaming Lips, o dell’amicizia che lo lega ad Alan Sparhawk e dell’ultima volta in cui parlò con Mimi Parker prima che morisse.
Questi monologhi, a tratti surreali, hanno spaziato in modo caotico tra temi come il suo rapporto con i fan, le difficoltà della vita in tour, i suoi ricordi di gioventù e le sue opinioni sulle piccole e grandi cose del mondo. Se per alcuni è stato un elemento di fascino, un’occasione di scoprire una personalità complessa e ironica, per altri è stato un ostacolo che ha spezzato la fluidità del concerto, con alcuni spettatori che hanno iniziato a lasciare la sala anzitempo.
Il Pubblico: Diviso tra Ammirazione e Perplessità
Il pubblico del Monk si è trovato a vivere un’esperienza ambivalente: da un lato, c’era chi apprezzava la natura quasi “personale” del concerto, percependo in quelle digressioni verbali una forma di comunicazione intima che si mescolava alla profondità delle sue canzoni. La sua ironia, talvolta pungente, talvolta beffarda, ha suscitato ilarità tra alcuni, che ridevano a crepapelle di fronte ai suoi racconti di vita, alle sue riflessioni esistenziali e alle sue critiche alla società contemporanea.
Dall’altro lato, c’era chi ha trovato il concerto troppo dilatato, privo di una vera direzione musicale. I lunghi intervalli tra i brani, in cui Kozelek sembrava più concentrato a raccontare aneddoti e storie personali che a suonare, hanno messo a dura prova la pazienza di alcuni spettatori. Alcuni fan, chiaramente sconcertati dalla lentezza del flusso, hanno deciso di abbandonare la sala prima della fine, infastiditi dalla sensazione che il concerto fosse stato più una performance teatrale che un’esibizione musicale.
La Musica: Luminosa e Riflessioni Profonde
Nonostante la commistione di monologhi e brani, la musica di Mark Kozelek non ha mai perso la sua forza evocativa. La sua chitarra acustica, con il suono nitido e intimo che la contraddistingue, ha dato corpo a una serie di pezzi che hanno toccato temi come la solitudine, la memoria, e le relazioni complesse. ‘Carissa’, uno dei brani più celebri di ‘Benji’, ha suscitato l’emozione più palpabile, mentre il più recente ‘Lonely Mountain’ ha confermato la capacità del cantautore americano di scrivere canzoni che, pur nel loro minimalismo, riescono a farsi strada fino al cuore dell’ascoltatore.
Tuttavia, è stato proprio durante questi momenti di introspezione musicale che le digressioni verbali di Kozelek hanno creato il contrasto più evidente. Ogni pausa tra un brano e l’altro sembrava un viaggio a sé stante, in cui il musicista non cercava solo di “intrattenere” ma di esprimere se stesso in modo crudo e non filtrato. La sua voce, che nei momenti di quiete sa diventare incredibilmente intensa, si mescolava a un’ironia tanto acida quanto genuina, creando una sorta di altalena emotiva che, se da un lato affascinava, dall’altro lasciava talvolta perplessi.
Facendo uso anche delle sue doti attoriali, ha dimostrato la continua evoluzione dell’artista, la sua capacità di reinventarsi non solo nella musica ma anche nella performance dal vivo, nella quale non si è limitato a eseguire il suo repertorio, ma ha cercato di creare un’esperienza in cui la musica fosse solo una parte di un racconto più grande, più complesso, più personale.
D’altra parte, il suo approccio “spontaneo” e “disinvolto” ha fatto sì che il concerto assumesse una forma meno definita, una sorta di esperimento che ha messo a dura prova la resistenza di alcuni fan. Un concerto che ha mescolato liriche struggenti e umorismo surreale, creando un’esperienza che ha sollevato più di una domanda sulla natura dell’arte dal vivo, sulla sua capacità di mantenere un equilibrio tra performance musicale e storytelling.
In definitiva, il concerto di Sun Kil Moon al Monk è stato imprevedibile, complesso, ma anche divisivo. Una performance che ha confermato il suo talento unico, ma anche la sua capacità di non voler mai scendere a compromessi con le aspettative del pubblico. Forse proprio per questo, alla fine, l’artista resta uno dei più enigmatici e singolari protagonisti della scena musicale contemporanea.