A distanza di sette anni dalla loro ultima esibizione capitolina, tra l’altro sempre sul palco del Monk, i Califone tornano ad esibirsi nella Città Eterna per portare in scena il loro inconfondibile sound sperimentale, al solito sotto la guida di Tim Rutili, leader storico e anima del progetto. Un orario decisamente insolito per la scena musicale capitolina, ovvero alle 19:00, che ha visto la sala riempirsi lentamente ma con costanza. L’atmosfera era intima, forse anche grazie alla disposizione dei posti a sedere allestiti appositamente per l’occasione: un accorgimento che ha dato al live un carattere quasi raccolto, come se i presenti si trovassero a partecipare a una sessione privata in studio più che a un concerto pubblico.
Il pubblico romano ha risposto bene, nonostante l’orario tardo pomeridiano: una discreta affluenza ha riempito l’ambiente con un silenzio attento, rispettoso e pieno di attesa. I Califone sono riusciti a catturare quell’attenzione in maniera magistrale, alternando pezzi dal gusto folk-rock psichedelico americano a sonorità più sperimentali. La band, fedele alla sua indole, ha giocato sui contrasti, creando un mosaico di suoni che richiamavano tanto la tradizione quanto quella voglia di esplorazione che l’ha resa un riferimento nella scena indie statunitense.
Tim Rutili ha saputo guidare l’intero concerto con una naturalezza e una verve uniche: tra un brano e l’altro, con sagace ironia, ha intrattenuto il pubblico con piccoli aneddoti, battute e osservazioni che hanno spezzato l’atmosfera a tratti ipnotica creata dalla musica, portando una nota di leggerezza e calore. Ogni intervento dell’ex leader dei Red Red Meat è stato accolto con sorrisi e risate da parte del pubblico, creando un senso di complicità tra artista e spettatori, enfatizzando l’atmosfera da “concerto domenicale” che aveva un sapore di ritrovo tra amici più che di evento formale.
Il suono dei Califone, come sempre, è stato un intreccio di chitarre riverberate, percussioni mai invasive ma sempre presenti (ad opera di Rachel Blumberg, già dietro le pelli dei Decemberists), e sfumature elettroniche leggere, come un velo che ha avvolto la sala, conferendo ai brani una dimensione atemporale.
La capacità della band di creare questi paesaggi sonori stratificati ha portato gli spettatori in un viaggio musicale che oscillava tra il familiare e l’inaspettato. Le aperture free-form dei Califone non sono infatti quelle dei classici del rock psichedelico, ma si nutrono di piccole dissonanze, di strutture aperte e di momenti di quiete che sfociano in brevi esplosioni sonore, in cui il caos e la melodia trovano un equilibrio perfetto.
L’acustica del Monk, poi, ha giocato a favore del sound, valorizzando ogni sfumatura e permettendo ai brani di risuonare con quella profondità che è parte integrante dell’esperienza dal vivo della band di Chicago.
In una città come Roma, dove il live è spesso un rito notturno, questo concerto pomeridiano ha rappresentato una piacevole eccezione, quasi un incontro fuori dal tempo e dalle convenzioni.
Tim Rutili e la sua band hanno trasformato un’insolita domenica pomeriggio in un’esperienza musicale in cui la sperimentazione, l’intimità e la tradizione hanno danzato insieme, lasciando il pubblico soddisfatto e affascinato da un suono che è tanto americano quanto universale.