Con Entropy, i Moonshine Booze ci conducono in un territorio musicale che sfida ogni previsione, dimostrando una straordinaria libertà creativa e un’abilità nel trasformare il caos in arte. Emiliano D’Ignazio e Fabio Mancini tracciano un percorso personale, costruendo un album che si nutre di ispirazioni senza confini, dove ogni traccia racconta una storia sonora a sé.
I Moonshine Booze non solo confermano la loro versatilità artistica, ma offrono un’opera che non conosce barriere di genere o di stile. Ogni brano è un invito a esplorare, a lasciarsi sorprendere e a scoprire nuovi mondi sonori, frutto di una visione musicale audace e senza compromessi.
Le 12 tracce strumentali dell’album riescono a evocare immagini vivide e suggestive, come se ci trovassimo immersi nella colonna sonora di un film intimo e potente.
L’introduzione con Nemesis apre le porte a una dimensione epica, fatta di tensione e di una battaglia sonora che sembra esplodere da un momento all’altro. Il groove di Drink Your Milk aggiunge un tocco ironico, mescolando funk-rock e riflessioni personali in un pezzo energico e provocatorio.
La tensione si intensifica con Dystopian, un brano che sembra dipingere un duello tra vita e morte, accompagnato da un continuo gioco di dinamiche che sfugge a ogni definizione rigida.
Il cuore emotivo dell’album si trova però in The Shadow Of My Rose, un omaggio toccante all’amico scomparso Adriano Ioannoni, scritto dagli Hidden Sins nel 1993 e riarrangiato dai Moonshine Booze. La traccia acquista un’atmosfera unica grazie allo special guest Flavio Pistilli al pianoforte, con la voce originale che riecheggia come un’eco distante, creando un impatto emotivo profondo.
L’album non smette mai di sorprendere: The Death Rattle esprime un caos sonoro controllato, mentre Funny Like A Mosquito riporta il funk con uno stile sfacciato e diretto. Con A Long Shortcut, i Moonshine Booze rendono omaggio a Dick Dale, pioniere della chitarra heavy, dimostrando ancora una volta la loro capacità di reinterpretare le influenze musicali in modo personale e coinvolgente.
Il viaggio si conclude con The Good Ol’ Days e Los Linderos, che ci accompagnano attraverso la nostalgia del passato e una celebrazione della cultura messicana, lasciando un senso di apertura e possibilità infinita.
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